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L'ATTEGGIAMENTO DEL GOVERNO ITALIANO

Il 1946 sembrerebbe rappresentare per il governo italiano quasi un anno di passaggio in merito alle scelte politiche ed agli interventi da operare nei confronti degli stranieri, in particolare ebrei, presenti sul proprio territorio. Lo si è visto nei confronti degli ebrei stranieri ex internati in Italia, per i quali era stato stabilito proprio quell'anno come limite alla permanenza nella penisola1 e lo si vedrà anche esaminando l'evoluzione dell'atteggiamento tenuto nei confronti delle Displaced persons che passavano clandestinamente la frontiera italiana - tra le quali c'erano migliaia di ebrei.
Passato, infatti, il periodo immediatamente successivo alla fine della guerra, durante il quale la disponibilità dei governi che si succedettero in quel breve periodo all'accoglienza aveva coinciso con la necessità di ricostruire la propria immagine all'interno delle nazioni democratiche, fino al punto di ridurre o addirittura cancellare le pesanti responsabilità italiane, la gestione dell'afflusso e della presenza delle DPs ebree ricominciò a presentarsi in tutta la sua complessità.
Le risposte date, ad ogni modo, non furono univoche, come, del resto, univoco non sembra nemmeno l'atteggiamento della Displaced persons Division dell'UNRRA che, temendo di essere accusata di coprire gli ingressi illegali, teneva o mostrava di tenere, un atteggiamento improntato al massimo rispetto dei regolamenti.
Accadeva, ad esempio, che non sempre i controlli alle frontiere venissero eseguiti secondo le disposizioni che pure venivano emanate e che, quindi, i passaggi clandestini avvenissero con relativa facilità. Al contrario, invece, potevano accadere episodi come quello contro il quale protesta Raffaele Cantoni in una nota inviata il 21 settembre del 1946al capo della Missione italiana dell'UNRRA.
Al posto della guardia di finanza di Curon Venosta, Provincia di Bolzano - vi si legge - si trovano fermati dopo il passaggio clandestino della frontiera italiana settanta ebrei profughi da paesi dell'Europa orientale. Questa Unione ha ieri sera ricevuto una invocazione di questi confratelli costretti ancora dopo tanti mesi dalla fine della guerra a scappare da un paese all'altro, perché nel loro l'esistenza è impossibile e la vita in pericolo. Ci siamo rivolti immediatamente a personalità italiane eminenti, le quali sono intervenute presso le competenti autorità italiane, onde evitare il provvedimento del rinvio ed hanno ottenuto affidamento che il gruppo potrà essere lasciato entrare come tanti altri in Italia, se la UNRRA rilascerà dichiarazione che le persone che lo formano verranno considerate da questa organizzazione Displaced persons e resteranno a carico dell'UNRRA durante la loro permanenza in Italia. […] Noi pensiamo che voi ci aiuterete, come avete fatto sempre, perché anche questi nostri cari che aspettano a Curon possano riprendere tranquillamente in Italia la loro esistenza di uomini liberi.
A Cantoni non risponde Keeny, ma, a stretto giro di posta, Louis Varrichione, Comandante dei campi istituiti dalla Displaced Persons Subcommission.
Vi informiamo che la nostra posizione riguardo alla vostra richiesta di occuparci di queste persone è la seguente: se le autorità italiane decideranno di ammetterli in Italia e saranno ritenuti idonei all'assistenza dell'UNRRA, assisteremo queste persone. Desideriamo chiarire che la nostra volontà di offrire assistenza a questo gruppo non deve essere interpretata come una prova dell'incoraggiamento al movimento illegale oltre il confine italiano verso l'Italia.
Quasi in quegli stessi giorni, tuttavia, UNRRA e governo, si erano mossi a posizioni invertite. Un Memorandum per l'UNRRA, datato 9 settembre 1946 e proveniente dal Ministero degli Affari Esteri, comunicava all'Amministrazione che:
il governo italiano, per aderire alle urgenti premure fatte da codesta missione, autorizza, in via del tutto straordinaria, l'entrata in Italia dei quindici rifugiati ebrei, indicati nominativamente nella nota RR/6/ITbdel 12 agosto ultimo scorso. E' stata presa nota dell'assicurazione data da codesta Missione che i predetti quindici rifugiati ebrei non soggiorneranno in Italia più di sessanta giorni e che dentro tale periodo saranno trasferiti in Palestina o in altri paesi. E'stata presa nota che l'attuale richiesta ha carattere eccezionale e non intende creare un precedente. 2
Non si può non rilevare, da questi scambi, quanto sia il governo italiano che l'UNRRA derogassero da accordi, regole, valutazioni a seconda delle contingenze, a costo, anche, di dimostrare di non conoscere la realtà o di far finta di non conoscerla, come, ad esempio, nel momento in cui l'UNRRA si impegna a trasferire in Palestina "entro sessanta giorni" le persone per le quali chiede l'ingresso in Italia.
Ad influenzare le oscillazioni dell'atteggiamento del governo italiano erano anche le implicazioni di politica internazionale legate, appunto, alla notevole presenza di ebrei, considerata la loro ferma opposizione alle operazioni di rimpatrio messe in atto dall'UNRRA e l'altrettanto fermo desiderio di raggiungere quella che consideravano la loro vera patria, cioè l'allora Palestina.
Se da una parte, infatti, il governo faceva finta di non essere al corrente delle navi che partivano dai porti italiani verso la Palestina, dall'altra non poteva ignorare la posizione del governo britannico, rappresentata sul territorio italiano dall'esercito di occupazione inglese con l'importante ruolo che esso aveva all'interno della Commissione Alleata alla quale si doveva rispondere.
Si vedrà di seguito come, con il passare dei mesi, fu quest'ultimo aspetto - e non solo i problemi economici e sociali che potevano scaturire dalla presenza di migliaia di persone straniere sul territorio italiano - ad influenzare maggiormente i comportamenti dei vari governi che si succedettero ed a portarli a scegliere una linea di durezza che, fu osservato anche da Paolo Contini che nel gennaio 1947 notava che un generale indurimento dell'atteggiamento del governo sta prendendo forma. Questo non ha assunto le proporzioni di politiche specifiche avverse ai DPs, ma piuttosto[si è manifestato] in un attento esame dei piani e dei movimenti proposti in vista della protezione dell'interesse del governo".3
Le conseguenze di quanto notava Sorieri si erano già viste soprattutto alle frontiere, dove i controlli molto blandi nelle prime settimane in cui la loro esecuzione era stata restituita agli italiani dagli inglesi che li avevano tenuti nel primo periodo successivo alla fine della guerra, diventarono più costanti e precisi e, con essi, aumentarono anche i respingimenti.
Un altro esempio della volontà di controllo degli ingressi da parte del governo italiano, fu il divieto di ricongiungimento tra familiari che veniva chiesto da chi, riuscito ad entrare in Italia e regolarmente registrato come displaced person chiedeva attraverso l'UNRRA, di poter far arrivare genitori o altri parenti rimasti nei campi in Germania o in Austria.
Le deportazioni, le fughe per la salvezza, gli stessi spostamenti di intere popolazioni, infatti, avevano causato lo smembramento di un grande numero di famiglie. I sopravvissuti, a guerra finita, avevano iniziato lunghe e complicate ricerche dei propri cari.
L'ostacolo maggiore da superare nei casi fortunati in cui si veniva a sapere il luogo in questi si trovavano, era quello di riuscire a raggiungerli o a farsi raggiungere, per ricominciare insieme a ricostruire la propria vita, soprattutto se si trovavano in campi di accoglienza situati in nazioni diverse. Se poi, come dimostrano i documenti che si esamineranno di seguito, gli spostamenti dovevano avvenire dai campi tedeschi o austriaci verso l'Italia, le difficoltà potevano diventare insormontabili.
Incombeva, infatti, sulle richieste di ricongiungimenti familiari, il sospetto che esse fossero, in realtà, degli stratagemmi per favorire gli ingressi clandestini il cui aumento, come si è visto, preoccupava la stessa UNRRA e, con essa, anche il governo italiano.
Nonostante ciò le richieste di ricongiungimento continuavano a d arrivare sia agli uffici della Divisione che a quelli dei funzionari governativi. Un esempio è dato dallo scambio che segue.
Il 10 ottobre del 1946 alla commissione di Registrazione e rimpatrio arriva una nota da parte del DP. Field Welfare Officier di Napoli avente per oggetto: DPs in Germany
Riceviamo molto spesso, dalle Displaced persons nostre assistite, la richiesta di informazioni su come potrebbero far venire in Italia i loro genitori residenti in Germania per una visita o per rimanere qui con loro fino a quando non sarà pronto il documento di emigrazione. I DPs lamentano che le autorità italiane che hanno sempre respinto le domande dichiarando di non avere l'autorità per trattarle e di rivolgersi al Quartier Generale alleato per ottenere tale autorizzazione. Avendo anche l'Allied Force Headquarters di Caserta risposto negativamente ora chiedono se tramite l'UNRRA ci sia qualche possibilità di ottenerla. Facci sapere cosa possiamo fare per loro o almeno indica i canali adeguati per la presentazione di una domanda per ottenere il permesso per dps in Germania di unirsi o visitare i loro genitori in Italia.4
Il problema era stato posto nel settembre del 1946 anche da Harry Zimmermann supervisore dei campi per DPs della provincia di Lecce che, in una lunga relazione, forniva i dati relativi ai quattro campi dell'Italia meridionale dove erano 350 le persone desiderose di ricongiungersi con le proprie famiglie che si trovavano nei campi o comunità tedesche il che avrebbe comportato lo spostamento in Italia di 600 - 700 persone. La maggior parte di esse si trovava nella zona di occupazione americana e il resto nella zona francese e britannica.
Zimmermann appare consapevole che per realizzare i ricongiungimenti occorrerebbe una complessa operazione di collegamento tra l'UNRRA, l'esercito e le varie autorità governative coinvolte, ed anche del delicato problema politico che le richieste ponevano, visto che la grande maggioranza delle persone interessate aveva manifestato la volontà di immigrazione in Palestina, nonostante ciò presenta un elenco di passaggi e di controlli burocratici che garantirebbero della serietà dei trasferimenti.
La sua speranza è, tuttavia, che la posizione del governo italiano - tra i più ostili ai ricongiungimenti - cambierebbe se comprendesse che l'azione dell'UNRRA per rimpatriare le DPs ebree è considerevolmente ostacolata proprio dal fatto che un buon numero di esse si oppone all' emigrazione o rimpatrio fintanto che non verranno riuniti al resto delle loro famiglie. Se il governo italiano permetterà l'ingresso ufficiale di un certo numero di familiari non aumenterà, ma diminuirà il totale delle DPs ebree sul suolo italiano. 5
Zimmermann non è il solo direttore di un campo a sollecitare il permesso per i ricongiungimenti familiari. Lo stesso sembrerebbe aver fatto anche il direttore del campo di Cinecittà al quale il capo del Welfare Office così risponde il 18 ottobre del 1946.
L'ingresso legale degli sfollati non italiani in Italia per raggiungere i parenti è ancora oggetto di trattativa con il governo italiano. Le prospettive non offrono nessuna speranza. Il viaggio in Germania per questo scopo è impossibile. Pertanto, si prega di informare di conseguenza gli sfollati e di non inviare più richieste di ricongiungimento familiare alla Sede centrale fino a quando non si viene informati che la situazione sia cambiata.
Passano dei mesi, ma l'impegno di Zimmermann a favore dei ricongiungimenti non sembra mutato. Il 3 marzo del 1947 scrive al direttore della Displaced persons operations - Divisione di rimpatrio e reinsediamento per sollecitare la risposta alla richiesta fatta alla Questura di Lecce da parte di un'ospite del campo, affinché sua madre la raggiungesse in Italia. La domanda era stata presentata l'anno precedente, ma non aveva mai ricevuto risposta. Il direttore prega di insistere o inviare un sollecito al Ministero dell'Interno. La risposta alle sue richieste arriva il 13 marzo successivo dal direttore della Division of welfare services:
La sua lettera del 3 marzo indirizzata alla Divisione rimpatri e reinsediamento è stata deferita a questo ufficio per richiesta e risposta. Mi dispiace davvero dire che, nonostante le ripetute richieste […] non vi è stata alcuna dichiarazione che la situazione che si verifica a causa della posizione del suo governo contro il ricongiungimento familiare in Italia, il che significherebbe che centinaia e forse migliaia di displaced persons aggiuntivi arriverebbero in Italia. […] Per quanto riguarda la sua richiesta, sono costretto a dire che questa è una questione di alta politica che non è stata ancora chiaramente determinata e prima che ciò sia fatto, un rifiuto è l'unica risposta possibile.
Entro poche settimane la Divisione Displaced Persons dell'UNRRA sarebbe stata chiusa e i suoi compiti sarebbero passati all'IRO, ma la riflessione con la quale mesi prima Zimmerman iniziava la sua relazione sarebbe restata ancora valida:
Il ricongiungimento delle famiglie dovrebbe essere uno degli obiettivi più umanitari del lavoro di accoglienza che si andava facendo. Anche se solo una piccola parte delle famiglie disperse può essere riunita un grande sforzo sarebbe giustificato.
Bastano, infine, questi pochi esempi dei molti conservati nei documenti della Missione italiana dell'UNRRA, a far tornare in mente ai ricercatori che - come chi scrive - hanno letto, in molti dei fascicoli personali degli ebrei stranieri internati in Italia, gli appelli alle autorità politiche fasciste ed a quelle religiose gli appelli a far arrivare in Italia i propri familiari rimasti nella loro nazione di provenienza, anche i figli bambini, che sarebbero stati sicuramente deportati, appelli ugualmente rimasti inascoltati.
Il 6 febbraio 1947 arrivava sul tavolo del Capo della Missione italiana dell'UNRRA una nuova dettagliata relazione inviata sempre da Paolo Contini nella quale venivano riconfermate le preoccupazioni già espresse nei giorni precedenti.
Ben presto - scriveva, infatti, Contini - si farà un censimento di tutti gli stranieri e a quanto pare è estremamente difficile per una displaced persons ottenere dal governo il permesso di rimanere in Italia.
Pur tenendo presenti le ragioni del governo italiano, a Contini non sfugge il rischio che correranno anche quelle che i funzionari della Displaced persons Division hanno dichiarato idonee all'assistenza, perché sembra che nemmeno la registrazione presso le proprie strutture potrebbe tutelarli dalla minaccia di essere espulsi o internati in campi di vera e propria detenzione.
Se ciò accadesse, sottolinea Contini, verrebbero a cadere i principi sanciti dalla Risoluzione n. 92 che ha assegnato alla Divisione il compito di escogitare modalità e mezzi per facilitare il reinsediamento e comunque per fornire una soluzione al problema che dovrà affrontare la DPs quando l'assistenza dell'amministrazione sarà cessata. Se ciò accadesse, sarebbe sicuramente un segnale di fallimento del lavoro dell'UNRRA, se, dopo la sua cessazione e nell'attesa dell'entrata in funzione dell'IRO le displaced persons da essa assistite dovessero venire espulse.
La relazione si chiude con una serie di considerazioni, volte a riaffermare i principi in base ai quali la speciale Divisione dell'UNRRA ha operato accompagnate da proposte su come gestire il momento di transizione tra essa e l'Organizzazione che la sostituirà:
a) le Displaced persons delle quali l'UNRRA è responsabile sono, approssimativamente 22.000 e dovrebbero essere considerate casi speciali perché praticamente tutte sono state vittima del nazifascismo. Sembrerebbe quindi corretto per il nuovo Stato democratico italiano dare protezione a cittadini delle Nazioni Unite o al popolo perseguitato "a causa della razza, della religione, o per le attività in favore delle Nazioni Unite".
b) allo stato attuale vi sono indicazioni che le Displaced Persons ammissibili all'assistenza UNRRA siano individuate per l'espulsione o l'internamento. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che questo gruppo è più facilmente identificabile rispetto alla maggior parte degli stranieri in Italia, che include jugoslavi, ustascia, soldati tedeschi sbandati o SS o altri antidemocratici o soggetti dubbi.
c) il gruppo di Displaced persons assistite dall'UNRRA non è stato un gran peso per l'economia italiana nel passato, perché l'UNRRA si è presa cura di loro, e in futuro le spese saranno divise in parte con l'IRO. In più le forniture e gli equipaggiamenti dell'UNRRA saranno trasferiti all'amministrazione dell'IRO per questo scopo.
d) In attesa della conclusione dell'accordo tra UNRRA, IRO e Governo italiano sulle Displaced persons dovrebbero essere inviate istruzioni alla polizia in modo che le Displaced persons eligibili per l'assistenza da parte dell'UNRRA non siano espulse o internate, salvo che non abbiano commesso gravi reati.
e) dovrebbe essere trovato un modo per identificare la Displaced person che è stata dichiarata eligibile per l'assistenza da parte dell'UNRRA e regolarmente registrata. Per esempio, una domanda in tal senso potrebbe essere inclusa nel questionario che il governo italiano sta preparando allo scopo di censire gli stranieri. La condizione speciale creata per le Displaced persons eligibili non dovrebbe creare un gruppo privilegiato, ma dovrebbe semplicemente dare loro l'opportunità del ricollocamento in altri paesi o quella di integrarsi nella società italiana, senza essere di nuovo in pericolo o costrette allo sfollamento o alla deportazione dopo tanti anni di persecuzioni.
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1 Cfr , nella prima parte, la pagina Ebrei stranieri internati in Italia 1943 -1946
2 Displaced Persons Operations - Italy - Jewish Refugees - UNARMS
3 Tradotto da Cinzia Villani Infrangere le frontiere cit. p.156
4 Reuniting of Families - UNARMS
5 Reuniting of Families - UNARMS
6 Displaced Persons Operations - Italy - Eligibility - UNARMS

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