a cura di Anna Pizzuti
Profughi jugoslavi | Indice | Con cittadinanza italiana |
Anche la Jugoslavia, come l'Italia, fu considerata per qualche anno un rifugio sicuro per gli ebrei in fuga dalle persecuzioni. I primi a varcare i suoi confini provenivano dalla Germania e dall'Austria. Il flusso dei profughi, molto limitato fino alla primavera del 1938 divenne più intenso dopo l'Anschluss e dopo la "notte dei cristalli" del novembre del 1938 e comprese anche un centinaio di ebrei polacchi espulsi dalla Germania.
Il governo jugoslavo, che fino a quel momento non aveva dato mostra di preoccuparsi del fenomeno, dispose rigidi controlli alla frontiera che, tuttavia, venivano facilmente aggirati. Successivamente, ad imitazione dei provvedimenti presi in Italia, emanò un decreto di espulsione che concedeva ai profughi che erano entrati prima del 1935 il tempo di sei mesi per lasciare il paese e tre a quelli entrati negli anni successivi.
Il reggente Paolo insediatosi nel 1939, dopo l'assassinio del cugino Alessandro Kara?or?evi? permise ai profughi - anche ai clandestini che continuavano ad aggirare i controlli alle frontiere - di rimanere in Jugoslavia, purchè il loro mantenimento fosse a carico di uno dei comitati di assistenza ebraici presso i quali era obbligatorio registrarsi. Nei primi mesi di guerra il governo ordinò che i profughi abbandonassero le città più importanti in cui si erano concentrati e che si disperdessero in molte altre località minori, con una sorta di internamento dalle regole attenuate.
Al momento dell'invasione della Jugoslavia, gli ebrei profughi presenti sul suo territorio erano 4562.i
Il controllo delle fonti consente di quantificare quanti di essi - seguendo gli altri ebrei in fuga dalla Jugoslavia occupata - riuscirono a farsi internare in Italia e quanti, rimasti nella seconda zona di occupazione, furono internati prima a Kralijevika (Porto Re) e poi nel campo di Rab.
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