a cura di Anna Pizzuti
Dalla Cecoslovacchia ... | Indice | I dati |
Gli ebrei ungheresi arrivati in Italia dopo la fine della guerra i cui fascicoli sono conservati presso gli Arolsen Archives sono 285 cui vanno aggiunti i 72 conviventi, per un totale di 357 persone.
Quelli che entrano nel 1945 quasi non lasciano tracce, se non moduli compilati per la Displaced Persons Division dell'UNRRA, dai quali non si ricavano sufficienti informazioni né sulle storie, né sugli eventuali esiti delle loro richieste. Più numerosi e più ricchi di informazioni i fascicoli relativi agli ingressi negli anni successivi.
La maggioranza degli intestatari risiedeva o si era trasferita a Budapest dalle varie province. Sembrava, l'Ungheria, essere rimasta una sorta di zona franca, in quanto, fino alla vera e propria occupazione tedesca e alla presa del potere delle Croci Frecciate nel 1944, gli ebrei con cittadinanza ungherese non erano stati deportati, nonostante l'alleanza con la Germania nazista.
Non per questo, tuttavia, non erano stati sottoposti a vessazioni, culminate con l'istituzione dell'obbligo a pesanti lavori forzati durante i quali morirono almeno decine di migliaia di ebrei e il cui ricordo compare in tutte le testimonianze.
In un fascicolo tra i tanti, quello di Gizella Steiner il racconto delle vicende personali si intreccia con l'evoluzione della persecuzione antiebraica in Ungheria durante la guerra, per cui, sulla parte storica, si lascia a lei la parola.
Gizella era nata nel 1920 a Budapest dove aveva frequentato per dodici anni le scuole secondarie per poi iscriversi al conservatorio. A partire dal 1942, però le leggi antiebraiche le avevano impedito di continuare gli studi e di cercare altre occupazioni.
Il mattino del 5 aprile del 1944 due agenti della Gestapo, accompagnati da un interprete ungherese, si presentarono nella sua casa e la arrestarono, senza alcuna spiegazione. Fu condotta in macchina sulle colline intorno a Buda dove c'erano tre edifici, una volta alberghi, trasformati in prigioni dai tedeschi.
Qui rimase fino al 25 settembre, senza essere mai nemmeno interrogata.
Nel frattempo la situazione politica nel paese diventava sempre più confusa.
Così la descrive Gizela:
E' stato poco tempo dopo che Stauffenberg1 ha aggredito Hitler nel luglio del 1944 quando il capo del governo Sztojai2 è stato richiamato in Germania ed è stato sostituito da Lakatos3 . Quest'uomo non è stato così severo nella sua azione come lo è stato Sztojai, e per alcune settimane le deportazioni di ebrei si sono fermate.
Approfittando di questo periodo di calma, un amico di Gizela - un commerciante cittadino ungherese di origine tedesca e cristiano - riuscì a farla rilasciare. Gizela tornò da suo padre che viveva ancora in casa propria, mentre il suo negozio era stato confiscato.
Il 15 ottobre 1944 - continua Gizela - Horty dichiara tramite un'emittente radiofonica che procederà alla firma dell'armistizio con gli alleati occidentali e la Russia, ma nel pomeriggio dello stesso giorno la stessa radio fa sapere che Horty è stato arrestato, che Szalasi ha preso il suo posto e che la guerra continuerà da parte tedesca. 4
La persecuzione razziale continuò ad infuriare nella città, ormai in mano alle Frecce Crociate.
Gizella racconta ancora che il 23 ottobre 1944 tutte le ragazze e le donne dai 15 ai 40 anni e gli uomini dai 16 ai 50 anni che erano di origine ebraica furono arrestati. Gizella era tra loro e fu deportata a Horanj, una piccola isola sul Danubio a circa 10 miglia a sud di Budapest. Lì i detenuti dovevano lavorare 10 o 11 ore al giorno e dovevano percorrere 7 Km al giorno da e per il posto di lavoro dove scavavano rifugi e buche per le armi.
Alla fine di novembre 1944 tutti i detenuti - 45.000 secondo il racconto di Gizella - furono riportati a Buda in una vecchia fabbrica di mattoni trasformata in un campo di concentramento.
La ragazza ricorda, però anche gli aiuti ricevuti dagli ebrei di Budapest.
I consolati di Svezia, Spagna, Svizzera ecc. diedero garanzie per alcuni ebrei e rilasciarono molte delle cosiddette "lettere di protezione". Sulla base di una tale lettera a volte era possibile che la Gestapo consentisse agli ebrei che la ricevevano di lasciare il campo per andare a vivere in case messe a loro disposizione segnate con una grande stella gialla e recanti all'esterno la scritta: "questa casa è sotto la protezione del consolato di ...". Gli ebrei che vivevano in queste case erano per così dire "internati liberi".
Anche a Gizella arrivò una di queste lettere di protezione che il suo amico aveva ottenuto per lei dal Nunzio del Vaticano in Ungheria. Presentando questa lettera fu rilasciata immediatamente.
Per alcuni giorni rimase nascosta nel negozio del suo amico, che le fornì anche documenti falsi. Il 24 dicembre i russi assediarono Budapest e il 28 dicembre 1944 cominciò l'occupazione della città.
Pest fu liberata nel giro di due settimane, ma le montagne di Buda resero i combattimenti più difficili, per cui si dovette attendere fino al 14 febbraio perché la città fosse completamente liberata.
Gizella tornò a Pest nella sua vecchia casa - dove trovò sua madre - che era stata tenuta nel ghetto tutto il tempo - molto malata e debole. Suo padre, invece, era fuggito e viveva a qualche chilometro da Budapest con un documento falso.
Alle vicende di Gizella si aggiungono quelle di Janos Szego
Nel 1938 Janos aveva 10 anni, viveva con i genitori e frequentava la scuola superiore di Budapest.
Il padre era commerciante di frutta secca. La famiglia fu colpita dalle leggi razziali promulgate dal governo ungherese: il servizio di leva ebraico, la stella gialla e, infine, il confinamento in una casa "a stelle gialle" come molti altri ebrei di Budapest.
Quando le frecce crociate salirono al potere, anche lui fu chiamato per i lavori forzati, dopo di che fu rinchiuso in un campo di concentramento, dal quale fu liberato all'arrivo dei Russi. Il padre non tornò mai più dalla deportazione e Janos visse con la madre, guadagnandosi la vita trasportando merci per altri con un piccolo carretto.
Sia Janos che Gizella non riuscirono ad accettare il nuovo ordinamento politico imposto dai russi dopo la liberazione dell'Ungheria.
Il primo lasciò l'Ungheria illegalmente nel maggio del 1946. Attraversò la frontiera con l'Austria di notte, e raggiunse la zona di occupazione inglese dove fu ammesso in un campo UNRRA. A settembre entrò illegalmente in Italia, attraverso il passo di Tarvisio.
Si fermò prima a Milano, presso uno zio e, successivamente, si trasferì a Firenze, dove riuscì a trovare lavoro. Si rivolse all'IRO nel 1949, per essere aiutato ad emigrare in Sud Africa oppure in Inghilterra, ma nel giugno del 1950 era ancora in Italia.
Gizella, invece era in possesso di un passaporto che le consentiva ancora, se pure per poco, di partire. L'occasione per allontanarsi si presentò quando ottenne un contratto per due concerti a Vienna. Da qui riuscì ad arrivare in Italia, a Milano, dove ottenne i documenti per il soggiorno, si mantenne tenendo concerti per le truppe inglesi e con l'assistenza dell'AJDC. Successivamente trovò anche un impiego da interprete. Si rivolse all'IRO per essere assistita nell'emigrazione per gli Stati Uniti e venne ritenuta eligible per tutti i servizi dell'Organizzazione. Nell'agosto del 1950, però, anche lei era ancora in Italia.
Così come Gizella e Janos, altri sopravvissuti alle deportazioni da Budapest raccontano di essere stati costretti ai lavori forzati, nella città o a seguito dell'esercito ungherese, oppure ricordano la permanenza nelle case protette, grazie alla quale, in qualche modo, riuscirono a salvarsi, mentre molti dei loro parenti venivano deportati.
Oltre a Gizella, anche altri ebrei ungheresi entrano in Italia con passaporti legali e solo più tardi presentano la richiesta di assistenza all'IRO, come nel caso di Borbala Klein alla quale, però, non viene riconosciuto lo stato di rifugiata.
Ad altri che arrivano in condizioni analoghe viene, invece, concessa la protezione legale e politica come accade nei due casi che seguono.
Elisabeta Lewi nel 1947, grazie ad un contratto ottenuto da un teatro italiano, parte con passaporto regolare, ma con il permesso di rimanere all'estero per soli due mesi. Arrivata in Italia, decide di non rientrare in patria. Cerca di farsi prolungare il permesso senza riuscirvi, perciò si rivolge all'IRO. Dichiara che dopo aver rifiutato di iscriversi al partito comunista ungherese, la sua vita, in patria, è diventata impossibile sotto tutti gli aspetti. Ottiene dall'IRO la protezione legale e politica.
Eva Schram lascia l'Ungheria per motivi analoghi a quelli di Elisabeta Lewi, ma, una volta in Italia, decide di emigrare in Israele. Nel 1949 si rivolge all'Agenzia ebraica ed ottiene il permesso d'ingresso, ma la Legazione ungherese a Roma le rinnova il passaporto scaduto solo per il rimpatrio e non per l'emigrazione. La donna chiede aiuto all'IRO per poter avere documenti sostitutivi, ma ottiene solo una generica protezione legale e politica.
Va comunque notato, a conclusione di questa prima parte della ricostruzione, che gran parte degli ebrei ungheresi arrivati in Italia illegalmente tra il 1945 e il 1947, che iniziano le pratiche di registrazione all'IRO. dopo un primo contatto, decidono di allontanarsi, rendendosi A.W.O.L. Stessa cosa accade per i pochi entrati nel 1948.
Nel 1949, invece le storie e l'approccio con l'IRO dei 123 ebrei ungheresi intestatari di fascicoli cambiano.
Pochissimi sono quelli che arrivano in Italia passando ancora clandestinamente le frontiere.
Tra questi Gyorgy Foldes che viveva in Ungheria, in una località chiamata Budafolk. Nel 1944 fu preso per ragioni razziali e inserito nei Battaglioni per il lavoro, per essere poi, nel marzo del 1944 deportato in Austria a Mauthausen e nel capo dipendente di Gunsen. Liberato nel maggio del 1945 visse in un centro per displaced persons a Wels. Nell'agosto del 1945 tornò in Ungheria nel suo paese e qui scoprì che tutti i suoi familiari, tranne una sorella, erano stati deportati e uccisi ad Aushwitz. Si trasferì a Budapest, dove iniziò a frequentare la scuola di Belle Arti. Non pagava per questi studi, perché riusciva a superare gli esami con ottimi voti. Nel mese di dicembre del 1948, però, sentendo limitata la propria libertà di espressione, decise di lasciare il paese. Attraversò il confine illegalmente in Austria e da lì passò in Italia arrivando a Roma il 24 gennaio del 1949. Chiese assistenza all'IRO per emigrare in Canada o in Australia.
La sua storia risulta supportata da adeguati documenti, perciò, come Gyorgy Engel e Zoltan Breuer che hanno una storia analoga alla sua, risulta ammissibile al reinsediamento.
Un'ultima storia che si discosta da quella degli altri ebrei ungheresi arrivati in Italia nel 1949 è quella di Anna Abend. La donna era vedova del rabbino di Budapest. Era mantenuta dalla Comunità ebraica e dal figlio maggiore, che era commerciante. Nell'ottobre del 1944 era stata rinchiusa nel ghetto, dove era rimasta fino alla liberazione della città da parte dell'esercito russo nel gennaio 1945.
Ritornata nella sua casa, visse sostenuta dal Consiglio della Comunità e dall'AJDC. Il figlio maggiore era stato ucciso durante il suo servizio di leva, il secondo figlio era stato deportato nel 1944 e non ne aveva più notizie. L'unico figlio che era sopravvissuto alla guerra era un ragazzino, al momento apprendista elettromeccanico. In quelle condizioni la donna decise di emigrare in Argentina.
Inizia a questo punto una vicenda che dimostra quanto l'emigrazione, nonostante nonostante il supporto dallo stesso AJDC, fosse ancora molto complicata.
La donna aveva a disposizione un permesso d'ingresso in Paraguay, paese dal quale avrebbe potuto richiedere il passaporto per l'emigrazione in Argentina. Tutti i documenti erano stati procurati dall'AJDC che aveva anche pagato il viaggio per lei e per il figlio. Nell'ottobre del 1948 i due salirono sul treno che da Budapest li avrebbe portati a Parigi, prima tappa del loro viaggio. Qui, però, rimasero bloccati. Le frontiere del Paraguay erano chiuse e nemmeno L'AJDC poteva ottenere per loro un permesso per un altro qualsiasi paese dell'America Latina.
L'unica soluzione trovata fu quella di trasferirli in Italia dove per lo stesso AJDC sarebbe stato possibile fornire loro i visti per l'Uruguay e dove tentato di registrarsi con l'IRO.
L'intervistatore, però, pur definendo la donna una "persona anziana e molto semplice, con nessuna conoscenza politica" e che abbia detto tutta la verità, non può accettare la sua domanda, perchè non è una vera rifugiata, bensì una emigrante.
Tra il 6 e il 10 settembre 1949 arrivano in Italia 164 (123 intestatari di fascicoli più 41 conviventi) ebrei ungheresi, intenzionati a raggiungere Israele che, comunque, da quasi tutti viene ancora chiamata Palestina. La non del tutto precisa coincidenza delle date di arrivo e delle indicazioni presenti nei documenti, non consente di stabilire con certezza se si trattasse del trasferimento di un unico gruppo - come pure qualche indizio lascia supporre - o di piccoli gruppi arrivati separatamente.
La maggior parte dei documenti contenuti nei fascicoli indicano, come luogo di partenza Bratislava, o, più in generale la Cecoslovacchia. In alcuni, invece, manca qualsiasi informazione in merito; viene solamente appuntata la dichiarazione. rilasciata dagli intestatari dei fascicoli. di adesione al sionismo o a movimenti ad esso riconducibili, come il Mizrahi5 .
Altre annotazioni sui documenti sono uguali quasi per tutti: il viaggio è stato possibile grazie al rilascio di un passaporto collettivo, l'IRO accoglie i viaggiatori nel campo di Trani e il 25 ottobre 1949 è la data (scritta a matita) dell'avvenuta "presa in carica".
A differenza di quanto accade per gli ebrei cecoslovacchi, però, nessuno dei pochi nel cui fascicolo si rinviene il questionnaire dichiara i nomi dell'agenzia o delle agenzie che avrebbero organizzato il trasferimento.
Mancano, infine, qui come negli altri casi di trasferimenti, accenni ad accordi specifici tra queste ultime e l'Organizzazione, che consentano di verificare se e come la sua attività fosse cambiata, rispetto al reinsediamento, dopo la nascita dello Stato di Israele e
Per tutti questi viaggiatori, come per quelli cecoslovacchi, infine, l'unica valutazione che l'IRO può fornire è quella di emigrante e non di vero rifugiato.
La differenza vera, ad ogni modo, tra i trasferimenti degli ebrei cecoslovacchi e quelli o quello degli ebrei ungheresi sta nella pericolosità del percorso che questi ultimi dovevano compiere per raggiungere il luogo della partenza, considerato che dovevano uscire clandestinamente dall'Ungheria.
In realtà esiste anche una testimonianza che fa pensare ad un trasferimento, poi fallito, di trasferimento dall'interno della stessa Ungheria. Caterina Sombor racconta, infatti di aver tentato di lasciare l'Ungheria con un trasporto clandestino che avrebbe dovuto raggiungere la Palestina (sic) attraverso la Romania ma che fu ben presto scoperto. Lei stessa rimase in prigione per ben tre mesi. Solo nell'agosto del 1949 riuscì ad aggregarsi ad altri ebrei che tramite un'organizzazione ebraica si preparavano a fuggire dall'Ungheria verso la Cecoslovacchia. Riuscì così ad arrivare a Kosice e da lì a Bratislava, da dove raggiunse Trani il 6 settembre successivo.
L'allontanamento e il successivo passaggio della frontiera poteva avvenire in due modi, via fiume o via terra, come nelle storie riportate di seguito.
Mendel Erbsenhautera, era un architetto che nel 1947 era tornato a Budapest da Teheran dove aveva trascorso gli anni della guerra. Nell'agosto del 1949 lasciò la città e raggiunse un villaggio situato lungo il Danubio. Con una piccola barca durante la notte risalì il fiume ed arrivò in un altro villaggio in territorio cecoslovacco. Qui era pronta un'auto per portarlo a Bratislava.
Il 25 agosto il comitato6 trovò una sistemazione per lui. Due o tre giorni dopo partirono per l'Italia, con un passaporto collettivo. Tutto il trasporto venne controllato dalla polizia politica cecoslovacca che, a quanto pare, voleva verificare se, aggregati al trasferimento, non ci fossero cittadini cecoslovacchi o ungheresi non ebrei. L'arrivo a Trani avvenne l'8 settembre 1949.
Oscar Adler dopo la liberazione dai campi di lavoro austriaci, tornò a vivere nella sua casa a Debrecen dove riprese il suo lavoro. Nell'agosto del 1949 lasciò l'Ungheria clandestinamente, passando la frontiera a Kisluva e da qui raggiungendo Kosice dove si stava organizzando un trasferimento in Palestina attraverso l'Italia a cura di una organizzazione per la Palestina. Anche Oscar arrivò a Trani il 6 settembre 1949.
Non è possibile sapere, allo stato delle ricerche, come e quando gli ebrei ungheresi, ma anche quelli cecoslovacchi che nel 1949 arrivarono a Trani, riuscirono a completare il loro viaggio ed a raggiungere Israele.
Tra di loro, però, ce ne furono alcuni, come Marta Stern, Vera Roth e Eugen Rosenthal che dei trasferimenti avevano approfittato solo per arrivare in Italia, per poi chiedere all'IRO assistenza per emigrare verso altre nazioni.
A nessuno dei richiedenti l'IRO non offrì questa possibilità.
C'è, infine, un'ultima storia che si ritiene importante far riemergere, perché non riguarda solo una singola persona, ma, sicuramente, fu vissuta da molte altre. Essa, inoltre, aggiunge qualche particolare alla ricostruzione del comportamento tenuto dal governo italiano negli anni successivi alla fine della guerra nei confronti di un particolare gruppo di ebrei stranieri che, proprio dal governo italiano avrebbe avuto diritto ad un significativo risarcimento.
Ernst Mandl, il protagonista, così scrive da Parigi, dove è ancora costretto a risiedere:
Io sottoscritto Ernesto Mandl sono nato ad Abosar (Ungheria) il 29.9.1904 da genitori ebrei. Feci i miei studi medi in Ungheria, ma causa della legge di "numerus clausus" 7 dovetti emigrare in Francia. Mi sono iscritto alla Facoltà di medicina a Parigi, successivamente a Bologna e a Padova dove in 1931 ho conseguito la tesi di laurea in medicina e chirurgia.
Essendo stato ammesso all'ordine dei medici come membro regolare, fui assistente di chirurgia dal 1931 al 1935 presso l'ospedale civile di Abbazia. Dal 1935 al 1939 praticai la stomatologia a Casal Monferrato.
Nel 1939 dovetti lasciare l'Italia a causa delle leggi razziali8 , dopo 13 anni di soggiorno. Dal 1939 mi trovo in Francia. Fui arruolato nell'Armata francese e poi sotto il comando dell'Armata britannica.
Mia moglie è stata deportata nel campo di Bergen. Belsen [da]dove fu liberata dopo 18 mesi di lavoro forzato in uno stato di salute molto precario, ciò fu la causa per cui non ho reintegrato (sic) subito l'Italia, unico paese dove posso esercitare liberamente la mia professione.
Ho fatto la mia prima domanda di visto di ritorno in marzo 1947 [la] quale mi fu ritornata con esito negativo. [Nel] Frattempo l'ordine dei medici di Alessandria (Italia) mi ha accordato la mia reiscrizione con ciò avrei di nuovo il diritto di esercitare. Ho una nuova domanda di visto di ritorno al Ministero degli interni a Roma da agosto 1949, ma senza risposta finora. Parlo le seguenti lingue: francese, tedesco, ungherese, italiano e imperfettamente l'inglese.
Questa sorta di memorandum viene stilato dal dottor Mandl il 10 febbraio 1949, subito dopo essersi visto rifiutare da parte del governo italiano il rientro in Italia e la possibilità di riprendere il proprio lavoro, sulla base dell'articolo 710 delle leggi transitorie della Repubblica italiana riguardanti la restituzione degli ebrei alla condizione precedente se essi avevano lasciato l'Italia prima del 1939 in conseguenza delle persecuzioni razziali. Il dottor Mendel era escluso da questo provvedimento, perché non era rientrato in Italia immediatamente dopo la guerra.
Dalla Cecoslovacchia ... | Indice | I dati |