a cura di Anna Pizzuti
La spartizione della Jugoslavia | Indice | La provincia di Lubiana |
Il numero degli ebrei presenti in Jugoslavia al momento dell'occupazione oscillava tra i 74.000 e i 78.000. Di essi 38.000, a seguito della suddivisione venutasi a creare con la guerra risiedevano nel Nuovo Stato Croato che comprendeva anche la Bosnia-Erzegovina.
I rimanenti vivevano soprattutto in Serbia e, in numero minore, tra la Macedonia e il Montenegro.
Poche centinaia risiedevano nei territori occupati militarmente dall'Italia.
La comunità di Zagabria contava 12000 iscritti, 11.780 erano gli ebrei che vivevano a Belgrado e 12.000 quelli che vivevano a Sarajevo.1 Su tutto il territorio jugoslavo, ma principalmente in Croazia, si trovavano poi 4562 profughi giunti dalla Germania, dall'Austria, dalla Cecoslovacchia, dalla Polonia.
Il numero di quelli che perirono nei campi Jugoslavi e nei lager tedeschi è stimato tra un minimo di 56 ed un massimo di 65.000. 2
Queste ultime cifre mostrano la violenza della persecuzione subita dagli ebrei che si trovavano in Jugoslavia al momento della sua occupazione e come, per essi, l'unica salvezza possibile fosse, per chi poteva, tentare di fuggire verso i territori posti sotto il controllo degli italiani.
Gli ebrei in fuga dalla Jugoslavia occupata così facendo riproponevano lo stesso comportamento degli ebrei tedeschi, austriaci, e di quelli provenienti da vari Stati dell'Europa centro-orientale, dal 1933 in poi. La legislazione antiebraica fascista, confrontata con la violenza degli ustascia appariva decisamente come un male molto minore. Lo stesso internamento che aveva privato della libertà migliaia di ebrei stranieri già presenti in Italia nel giugno del 1940, appariva, ai fuggiaschi, come garanzia di salvezza.
Tuttavia, se il decreto emanato nel settembre del 1938 che prevedeva l' espulsione degli ebrei profughi presenti in Italia e il divieto di ingresso di coloro che si sarebbero presentati ancora alle frontiere riuscì solo in minima parte a bloccare l'afflusso dei profughi, in questa occasione raggiungere le frontiere dei territori jugoslavi annessi all'Italia e riuscire a valicarle costituì, per la maggioranza degli ebrei jugoslavi in fuga, un'impresa decisamente più difficile e, per molti di loro, impossibile.
Innanzitutto tedeschi e croati avevano imposto agli ebrei la registrazione presso le autorità di polizia, per cui chiedere a queste stesse l'autorizzazione prescritta a tutti i civili - ma negata agli ebrei - prima di qualsiasi spostamento equivaleva a consegnarsi ai persecutori.
In più, per raggiungere le zone annesse e giuridicamente facenti parte del territorio italiano bisognava attraversare quelle presidiate dai militari italiani, ufficialmente garanti dell'incolumità di tutti i civili, nelle quali, tuttavia, l'amministrazione civile era affidata ai croati e in cui agivano, più o meno indisturbate le bande degli ustascia.
Infine, per entrare in territorio italiano, erano necessarie ulteriori autorizzazioni, la cui mancanza consentiva facilmente alle forze dell'ordine di individuare coloro che vi si fossero introdotti clandestinamente.
A tutto ciò va aggiunto il fatto che posizione del governo italiano nei confronti dei profughi fu, fin dall'inizio, durissima: essi andavano respinti, sia dalle zone annesse, sia da quelle occupate militarmente. 3
La Delasem chiese, in un primo momento di considerare i profughi veri e propri rifugiati politici da porre sotto la protezione delle autorità italiane e che, anche in base alle leggi internazionali, non fossero respinti alla frontiera, tanto più in questo caso visto che, tornando in Croazia, essi avrebbero corso il rischio della vita. 4
Le autorità italiane erano condizionate, invece, sia dal fatto che si trattava di ebrei, contro i quali il regime fascista e quello croato avevano promulgato leggi persecutorie, sia dall'assimilazione dei profughi al movimento partigiano cosa che li faceva considerare come veri e propri oppositori politici.
Di quest'ultimo atteggiamento si rinviene traccia in una comunicazione inviata il 20 gennaio del 1942da Luca Pietromarchi5 a tutte le autorità centrali o locali, impegnate nell'occupazione della Jugoslavia. Nella comunicazione il diplomatico riporta integralmente il contenuto di un telegramma ricevuto dal Regio Ministero in Zagabria [così nel testo, senza ulteriori indicazioni] con il quale viene riferito di operazioni condotte contro numerose cellule comuniste. "Negli arresti operati in questi ultimi giorni - si legge nel telegramma - sono stati compresi oltre 600 ebrei, alcuni dei quali avviati in Bosnia (Banja Luka) sembra siano riusciti a sottrarsi alla sorveglianza e si siano diretti verso la Dalmazia e il Fiumano. Il numero di questi si aggirerebbe sui 300." 6
I profughi che venivano scoperti ad entrare nei territori sottoposti al controllo degli italiani, andavano incontro a due tipi di provvedimenti diversi. In base alle disposizioni governative venivano respinti direttamente alla frontiera, o, se riuscivano a superarla e venivano intercettati dalle forze dell'ordine o dai militari, erano arrestati e, successivamente, su decisione dei prefetti, allontanati.
Questi provvedimenti, tuttavia, non interruppero l'afflusso dei profughi nelle zone annesse, né i loro spostamenti all'interno della seconda zona presidiata dai militari quando, respinti o allontanati da una zona, cercavano di entrare in un'altra.
I documenti - in particolare quelli riguardanti la Provincia del Carnaro - dimostrano che, mentre molti dei profughi, una volta entrati in territorio italiano, cercavano di rimanervi come clandestini, altri si recavano presso le autorità di polizia e presentavano istanze con le quali chiedevano il permesso di dimora in località del Regno e, in attesa delle determinazioni del Ministero, il permesso di soggiorno.
Nelle istanze venivano descritte le terribili violenze subite e si parlava di parenti portati via dagli ustascia e dei quali non si avevano più notizie.
Le autorità, anche quelle militari che presidiavano i territori croati, quindi, erano perfettamente informate di quali fossero i rischi che avrebbero corso le persone che respingevano o allontanavano.
L'aspirazione dei fuggitivi, comprensibilmente, era quella di essere internati in un qualsiasi campo o località dell'Italia, ed era la soluzione che la Delasem cominciò ben presto a proporre in ciascuna delle zone "critiche".
In generale furono accolti coloro che dimostravano di potersi mantenere a proprie spese, ma anche quelli che avevano collaborato con le autorità militari italiani o che, a qualsiasi altro titolo, risultavano "favorevolmente noti" alle autorità.
I militari che consentivano ai profughi di rimanere nei territori posti sotto il loro controllo, chiedevano, invece, che questi non creassero problemi di ordine pubblico.
La ricostruzione di quanto accadde provincia per provincia, dimostrerà che molti furono i profughi internati in territorio italiano, a partire dalla seconda metà del 1941, ma anche che i provvedimenti che li riguardarono ebbero motivazioni e percorsi problematici e complessi.
Secondo diverse fonti contemporanee furono 6000 circa gli ebrei che riuscirono a superare tutte queste difficoltà, a raggiungere le zone occupate militarmente o a riuscire ad entrare in Dalmazia, nella Provincia di Lubiana o in quella del Carnaro. 7
Le cifre presentate per ciascuno di questi territori, fondate sulle ricerche più recenti, ne dimostreranno l' attendibilità.
Ad ogni modo l'afflusso dei profughi si interruppe - tranne che in pochi casi relativi a persone particolarmente protette - nella seconda metà del 1942. A partire da questo periodo l'inasprirsi dello scontro con i partigiani portò ad un controllo delle frontiere ancora più rigido di quanto non lo fosse stato in precedenza. In più, dall'estate di quell'anno, entrò in vigore l'accordo stipulato tra i tedeschi ed i croati che prevedeva la deportazione verso la Polonia di tutti gli ebrei non ancora periti negli eccidi o nei campi di sterminio jugoslavi.
Nonostante ciò, da Roma continuarono ad arrivare ancora ordini di respingimento, anche quando era ormai ampiamente noto che il destino dei profughi sarebbe stato segnato.
Il 25 novembre del 1942 il questore di Fiume trasmette a tutti gli uffici sottoposti una circolare ministeriale, nella quale si legge:" Con riferimento a precorsa corrispondenza si comunica che questo Ministero, riesaminata la situazione degli ebrei profughi dalla Croazia che emigrano clandestinamente nel territorio delle nuove province per sottrarsi a presunte vessazioni e che si rifiutano di far ritorno in patria dove correrebbero pericolo di vita ha deciso che gli stessi debbono per norma essere respinti nei paesi di provenienza." 8
Allo stesso modo, il 27 aprile del 1943, il Comando Superiore delle Forze Armate "Slovenia -Dalmazia" indirizzava a tutti i comandi dei Corpi d'Armata una analoga prescrizione.
" […] Dato che non deve essere ammesso un ulteriore afflusso di ebrei nelle zone presidiate dalle nostre truppe, si prega di voler impartire le necessarie disposizioni agli enti dipendenti e in particolare a tutti i posti di blocco dislocati sulle vie di accesso alle predette zone, perché quegli ebrei che eventualmente vi si presentassero per introdurvisi, siano senz'altro respinti e rinviati ai luoghi di provenienza" 9
Assieme alla riproposizione dei divieti di accesso, le autorità rigettavano - così come avevano fatto con tutti gli ebrei stranieri internati in Italia - le istanze dei profughi che chiedevano di far entrare in Italia i familiari rimasti bloccati in Croazia o in altre regioni della Jugoslavia anche quando erano appoggiate dal Ministero degli Affari Esteri o lo stesso Comando Supremo. 10
Allo stesso modo - durante il governo Badoglio - vieniva respinta la richiesta di ingresso proveniente da Rab (Arbe) di un gruppo di 55 internati (più numeroso se si tiene conto dei loro familiari). La domanda era stata trasmessa il 7 agosto del 1943 alla Questura di Fiume, sotto la cui giurisdizione il campo si trovava. La richiesta e l'elenco che la accompagna vengono inviati a Roma l'11 agosto. La Prefettura di Fiume esprime parere contrario all'operazione. Il Ministero è della stessa opinione e così la motiva rispondendo, il 28 agosto, al prefetto: "Non si ha la possibilità di sistemarli […] Infatti i pochi posti disponibili debbono servire per la sistemazione degli sfollati a seguito dei bombardamenti aerei." 11
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