a cura di Anna Pizzuti
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"Continuano a pervenirci richieste insistenti degli internati dell'Italia settentrionale, comprese le province emiliane, e maggiormente dalle province di Trieste, Fiume, Spalato e Cattaro, di essere trasferiti nell'Italia centrale, e specialmente verso le province di Chieti, l'Aquila ecc. Inoltre si chiede che vengano emanate immediatamente disposizioni alla R.Questura, perché vengano rilasciati a tutti gli internati dei documenti di identità personali, possibilmente dai quali non apparisse la razza (sic) come misura precauzionale in caso di mutamento della situazione"1
La bozza di questa nota per Roma rinvenuta tra la corrispondenza della DELASEM porta la data del 27 agosto 1943 e dimostra che, ancor prima che fosse proclamato l'armistizio firmato dal governo Badoglio il 3 settembre del 1943 e reso noto l'8 successivo, gli ebrei stranieri internati nell'Italia del nord e nei territori Jugoslavi annessi all'Italia si rendevano conto dei rischi ai quali li avrebbe esposti il mutamento della situazione che tutti consideravano ormai imminente.
Colpisce, tuttavia, il fatto che tra le province considerate sicure la DELASEM non indicasse quelle del Sud già a quella data molto prossime ad essere liberate. Le stesse che, a distanza di poche settimane, sarebbero diventate la meta di tanti internati, molti dei quali, già nei giorni immediatamente successivi all'armistizio, si allontanarono "arbitrariamente" dal luogo di internamento, come riportato da numerose fonti.
Non sappiamo se la richiesta fu effettivamente inviata. Quello che è certo, invece, è che il suo destinatario, il capo della polizia Carmine Senise, attese fino al 10 settembre - data in cui famiglia reale e gran parte dello stesso governo si trovavano già a Brindisi - per decidersi a ordinare la liberazione degli ebrei stranieri internati, ordine che, data la situazione, raggiunse pochissime province. 2
Gli internati a Ferramonti, insieme a quelli che si trovavano nelle località di internamento in provincia di Potenza in altre sedi di internamento libero calabresi, a quelli rimasti nel campo di Campagna in provincia di Salerno o negli altri campi ancora funzionanti in provincia di Avellino, e Benevento non ebbero bisogno che quella circolare arrivasse alle autorità locali: entro il mese di novembre del 1943 sarebbero stati tutti liberi a seguito dell'avanzata delle truppe alleate.
Al contrario, tutti quelli che si trovarono a Nord della linea Gustav, a partire dalle sue immediate retrovie - come gli internati nelle province abruzzesi o in quella di Frosinone - rimasero intrappolati, in una condizione tra le più esposte al rischio di essere catturati dall'occupante tedesco cui in breve tempo si era aggiunto l'alleato repubblichino, dopo l'ordine di arresto di tutti gli ebrei, italiani e stranieri, emanato il 30 novembre 1943 da Buffarini Guidi, ministro dell'interno della Repubblica Sociale.
La loro, infatti presenza era ben nota alle autorità, dal momento che nelle province passate sotto la RSI l'internamento degli ebrei stranieri era proseguito con le medesime modalità in vigore dal 15 giugno del 1940, 3 i loro documenti erano stati ritirati al momento dell'internamento e comunque non sarebbero stati certo di aiuto nella fuga (da qui la seconda richiesta che leggiamo nella nota della DELASEM), le risorse economiche, infine, erano da tempo quasi esaurite.
Nonostante ciò molti scelsero la fuga, verso la Svizzera o verso il Sud della penisola e, successivamente, anche verso l'Italia centrale. A proposito di quest'ultima meta, va detto che, da luogo dal quale fuggire, essa divenne, nel corso dell'estate del 1944, meta della fuga stessa, man mano che gli Alleati avanzavano dopo lo sfondamento della linea Gustav (maggio 1944).
Molte le variabili che influirono sulla scelta della direzione da prendere: la considerazione dei rischi cui si andava incontro sia che si scegliesse la via della Svizzera, sia che ci si dirigesse verso l'Italia meridionale, il possesso o meno delle risorse economiche necessarie per affrontare sia l'uno che l'altro spostamento, l'età e le condizioni di salute, la fiducia che, in ogni caso, bisognava riporre nelle persone cui ci si rivolgeva per superare il confine nel primo caso o per individuare le strade più sicure per evitare di essere sorpresi ed arrestati. Fiducia che spesso fu ben riposta, ma che altrettanto spesso venne tradita.
Va infatti ricordato quanto affermava anni fa lo storico Michele Sarfatti rispondendo alle domande di una giornalista: "…se è vero che dietro ad ogni ebreo deportato ed ucciso c'è un italiano non ebreo che gli ha chiuso la porta in faccia, dietro ad ogni sopravvissuto c'è un italiano che l'ha salvato" 4
La scelta più immediata, tuttavia, dipese, per la maggioranza, dalla posizione geografica del luogo in cui l'armistizio sorprese gli internati.
Non a caso Liliana Picciotto nella sua ultima importante ricerca, parla di vera e propria geografia della salvezza aggiungendo anche che "il principale elemento che caratterizzò la vita degli ebrei d'Italia nel biennio 1943-45 fu un "nomadismo continuo, inteso nel senso più lato del termine." 5
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