a cura di Anna Pizzuti
Precedente | Indice | Successiva |
Circolari e decreti riguardanti il servizio di controllo sui mezzi di comunicazione e di censura della corrispondenza si susseguirono nel corso della guerra. L'ultimo, con il quale si ribadiva la necessità di ottemperare alle disposizioni già emanate - fu emanato il 5 settembre del 1942.
Tuttavia, la documentazione relativa alla corrispondenza che qui si presenta dimostrerà come, nella pratica, alcune delle disposizioni previste per la traduzione e la censura, venissero disattese.
Essa è costituita principalmente da note con le quali la Prefettura di Cosenza accompagnava la trasmissione al Ministero dell'Interno di lettere scritte e ricevute da internati nel campo di Ferramonti.
Il trasferimento al Ministero delle lettere scritte dagli internati poteva derivare dal fatto che la commissione provinciale di censura non era stata in grado di operare la traduzione oppure aveva rilevato in esse qualche contenuto non conforme a quelli consentiti dai regolamenti.
La formula usata al momento del trasferimento è la stessa in tutte le comunicazioni: "Per l'eventuale ulteriore corso trasmetto le accluse lettere inviate da …" Per ciascuna delle lettere da esaminare, da un minimo di tre ad un massimo di cinque per nota, vengono indicati sia il mittente che il destinatario.
Solo al termine di questa procedura, che, stando alle date apposte sui documenti durava all'incirca un mese, le lettere potevano essere finalmente spedite ai loro effettivi destinatari.
Accanto a queste, si rinvengono anche numerose note compilate dallo stesso Ministero dell'Interno che si rivolgeva ad altri uffici per la traduzione delle lettere o per indagini sui mittenti di quelle che apparivano maggiormente pericolose.
Ed era lo stesso ministero a contravvenire alle disposizioni, come quando chiedeva, ad esempio,
il contributo del Ministero della cultura popolare (Direzione generale per il servizio della stampa estera) per la traduzione di lettere in lingua boema.
In generale, dopo la seconda revisione, questa corrispondenza veniva lasciata passare.
Le note ministeriali che ne accompagnavano la restituzione a Cosenza contenevano, infatti, la formula: "Si restituiscono per l'ulteriore corso …".
Queste note sono firmate , in un caso, "A nome del Ministro"; in tutti gli altri "Pel Capo della Polizia".i
In caso di lettere che suscitavano sospetti, interveniva, invece, il S.I.M. (Servizio Informativo Militare) che svolgeva indagini sui mittenti e, in genere, ne proibiva "l'ulteriore corso".
Le due principali questioni che preoccupavano gli internati nella primavera del 1943 riguardavano il deteriorarsi della loro condizione con l'aggravarsi della situazione bellica e la perdurante speranza di poter portare a termine i loro progetti di emigrazione.
I destinatari delle lettere degli internati erano, quindi, in maggioranza, organizzazioni ebraiche di assistenza, ma anche autorità ecclesiastiche, oltre che uffici consolari e istituzioni bancarie.
Nove lettere sono indirizzate al Nunzio Apostolico Borgoncini Duca, dopo la sua seconda visita al campo, avvenuta il 22 maggio del 1943 e contenevano sicuramente richieste di sostegno economico o di altro tipo di aiuti.
Uguali richieste dovevano essere rivolte agli enti di assistenza.
Una lettera è inviata a Saly Mayer , direttore della sede svizzera del Joint, l'organizzazione ebraico-americana che dal 1939, tramite la DELASEM, la delegazione assistenza emigranti ebrei, sosteneva ebrei profughi ed internati in Italia.
Un'altra è inviata al Comitato di soccorso per la popolazione ebraica colpita dalla guerra (RELICO).
Nato nel 1939, con sede a Ginevra, questo Comitato, diretto da Abraham Silberscheinii , collaborava con tutte le altre associazioni nell'aiuto agli ebrei rifugiati in vari paesi europei compresa l' Italia.
Un internato scrive, invece, all' Ústredna Zidov (UZ), l'organizzazione di soccorso slovacca, nata a Bratislava nel 1940.
Non mancano, infine, richieste di aiuti rivolte a Israel Kalk, il fondatore della mensa dei bambini fin dall'estate del 1940 aveva inviato a Ferramonti viveri e latte in polvere, vestiario, medicinali e giocattoli.iii
Sei lettere sono dirette a varie sedi italiane della Croce Rossa polacca, una a quella della Romania e dovevano contenere richieste di informazioni sui parenti rimasti nei paesi d'origine, come testimoniato dall'unica lettera sull'argomento presente nel fascicolo.
Le note di accompagnamento segnalano anche l'invio di lettere a varie legazioni estere, a testimonianza del fatto già evidenziato che ancora nel 1943 continuavano, da parte degli internati, i tentativi di emigrazione.
A riprova di ciò, anche le lettere inviate da una coppia di ebrei internati da Trieste al Ministero di scambi e valute ed alla sede triestina della Banca d'Italia, evidentemente per l'espletamento delle pratiche economiche legate all'emigrazione.
Le rimanenti lettere sono inviate a vari altri uffici come le questure di Viterbo e di Spalato, a Comunità ebraiche (Alessandria e Parma) o a singole personalità, come il senatore trentino Guido Larcher o alla stessa regina Elena.
Di quasi tutte le lettere citate nelle note di accompagnamento sono, purtroppo, andate perse le copie, che andavano conservate anche quando agli originali veniva dato corso. Le poche lettere rinvenute, ad ogni modo, sono sufficienti a rappresentare le esigenze e le situazioni in generale vissute dagli internati.
Precedente | Indice | Successiva |