a cura di Anna Pizzuti
La prima fase dell'internamento: giugno 1940 - aprile 1941 | Fiume ed Abbazia: Indice | Lo sfollamento a Caprino Veronese |
Il 6 aprile del 1941 inizia l'occupazione della Jugoslavia da parte dell'Italia e della Germania. Dopo averne piegato la breve resistenza i due alleati smembrarono il territorio in varie zone. Quelle controllate dall'Italia furono a loro volta suddivise in zone di occupazione ed in zone annesse che diventarono parte integrante del Regno d'Italia. Queste ultime erano: a) la parte meridionale della Slovenia con Lubiana, denominata Provincia di Lubiana; b) una parte rilevante del litorale della Dalmazia comprendente la Provincia di Zara, la provincia di Spalato/Split con le isole e la provincia di Cattaro/Kotor; c) la fascia costiera a sud-est di Fiume comprendente, tra l'altro, Sušak/Borgonovo, Bakar/Buccari, nonché le isole di Veglia/Krk e di Arbe/Rab, che rientrarono amministrativamente nella provincia del Carnaro avente come capoluogo la città di Fiume.
Nell'aprile del 1941 nacque anche lo Stato indipendente di Croazia - NDH - sotto il regime degli ustascia. In esso, già a fine aprile del 1941 ebbero inizio gli arresti e le deportazioni di ebrei verso campi istituiti nel territorio, nei quali avvenivano terribili violenze. Nell'aprile del 1942 fu stipulato un accordo tra il governo di Zagabria e quello tedesco, che consentì ai tedeschi di deportare coloro che ancora sopravvivevano verso i campi di sterminio in Polonia.
La fuga oltre il confine ungherese o, appunto, nei territori annessi all'Italia apparve così ai perseguitati come l'unica speranza di salvezza. E la provincia del Carnaro fu individuata da molti degli esuli come quella attraverso la quale avrebbero potuto raggiungere anche l'interno dell'Italia, vista ancora come possibile rifugio.
Nelle zone annesse o occupate dagli italiani furono estesi i provvedimenti antiebraici in vigore in Italia, ma restano ancora oggi aperte le questioni riguardanti le contraddizioni nel comportamento delle autorità civili e militari nei confronti degli ebrei, residenti o profughi che fossero, contraddizioni evidenti sia rispetto a quanto accadeva in ciascuna delle diverse zone, sia all'interno delle stesse zone.
I documenti d'archivio e le varie ricostruzioni storiche fanno emergere un dato generale: rispetto alla questione ebraica la politica italiana si fondò soprattutto sulla volontà di limitare l'ingerenza nazista nelle scelte e nei comportamenti delle autorità politiche e militari; tuttavia i profughi rappresentavano un grave problema sia economico sia di gestione dell'ordine pubblico, perché sospettati di antitalianità, come veniva chiamata ogni forma di opposizione all'occupante1, anche se questa accusa sembra essere il pretesto per rifiutare loro l'ingresso.
Fu così che la prima reazione, sostenuta anche dalle disposizioni che arrivavano da Roma, fu quella di chiudere le frontiere a tutti, senza distinzione alcuna e di ricacciare indietro coloro che riuscivano ad entrare. I commissari delle zone di nuova acquisizione della Provincia del Carnaro, facenti capo al prefetto di Fiume Temistocle Testa, all'alto commissario per la provincia di Lubiana Emilio Grazioli, al governatore delle tre province dalmate Giuseppe Bastianini e al comando della II Armata che occupava i territori conquistati, ricevettero la disposizione di vietare l'ingresso ai profughi.
Uguale disposizione andava applicata anche al confine della zona di occupazione italiana in Croazia, dal quale tentavano di passare gli ebrei residenti nella zona occupata dai tedeschi. In pratica il respingimento alla frontiera sarebbe dovuto essere applicato nei confronti di tutti gli ebrei che appartenevano a nazioni che perseguivano una politica di discriminazione razziale; se quegli stessi ebrei, invece, si fossero trovati in Italia sarebbero stati internati in campi o località particolari.
Nonostante i continui ordini di respingimento provenienti dalle autorità centrali ed a riprova dell'atteggiamento contraddittorio con cui il problema veniva gestito, tra il luglio e il dicembre del 1941, dalla provincia di Lubiana e dalla Dalmazia, fu deciso l'internamento in Italia complessivamente di più di un migliaio di ebrei: da Lubiana e dalle zone pertinenti gli ebrei residenti furono internati nel campo di Ferramonti, mentre dalla Dalmazia ben 1074 ebrei jugoslavi e profughi furono internati in decine di località delle regioni settentrionali, dalla Valle d'Aosta al Veneto all'Emilia Romagna, in particolare a Parma.
In ambedue le zone, però, soprattutto nella Dalmazia, l'afflusso di profughi continuò anche nei mesi successivi e alcune decine di essi riuscirono, anche nel corso del 1942, ad essere internati in Italia2.
Nella provincia del Carnaro e nelle zone sotto il suo controllo, invece, le cose andarono diversamente. Non ci furono internamenti di "gruppi" di profughi, ma ciascuno di essi si confrontò direttamente con le decisioni delle autorità, subendo destini diversi e spesso contrastanti, e tali decisioni appaiono, stando ai documenti, spesso del tutto arbitrarie.
Di fatto, a proporre per prima una soluzione per il futuro dei profughi che si trovavano nel territorio della provincia fu la Delasem (Delegazione assistenza all'emigrazione, l'organizzazione ebraica nata nel 1939, voluta dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), che seguiva con estrema attenzione quanto si stava verificando nella zona. Interessanti le motivazioni con cui la Delegazione, in un promemoria inviato al Ministero il 23 agosto 1941, chiedeva che ai profughi fosse concesso o di rimanere nella città o di essere internati in Italia:
Poiché si tratta di rifugiati politici che si sono messi, rifugiandosi, sotto la protezione delle autorità italiane, anche in base alle leggi internazionali, non dovrebbero essere respinti alla frontiera di provenienza, tanto più in questo caso in cui, tornando in Croazia, essi sarebbero uccisi o deportati3.
Il testo colpisce non solo per il riferimento alle leggi internazionali che già all'epoca proteggevano i rifugiati, ma che le autorità fasciste non tenevano in alcun conto nelle procedure riguardanti l'internamento4, ma anche perché dimostra che le informazioni sulle atrocità alle quali gli ebrei respinti sarebbero stati sottoposti erano note fin dai primi mesi dell'occupazione. Inoltre, ci spinge ad osservare che quell'internamento che era stato vissuto dai residenti come un dramma da evitare, dal momento che divideva famiglie e le rovinava economicamente interrompendo le attività lavorative, era invece visto dai profughi come una salvezza. Salvezza anche dal punto di vista della sopravvivenza economica, come testimoniano le numerosissime istanze che lo richiedevano, e che costituivano il primo atto ufficiale al momento dell'ingresso nella provincia e nelle quali erano narrate anche le terribili persecuzioni dalle quali i profughi erano riusciti a fuggire.
Al 31 gennaio 1942 la situazione era quella descritta nella seguente comunicazione della Prefettura del Carnaro al Ministero dell'interno, avente per oggetto "repressione degli ebrei e comunisti a Zagabria".
[…] si comunica che in questi ultimi tempi i tentativi di immigrazione clandestina di ebrei nella zona della ex Jugoslavia annessa a questa provincia sono stati in numero limitato. I pochi ebrei che sono riusciti ad infiltrarsi in questo territorio sono stati man mano rastrellati e respinti oltre frontiera ed in pochissimi casi proposti per l'internamento. Sono state comunque date istruzioni agli organi della polizia confinaria perché eserciti alla frontiera la massima vigilanza5.
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