a cura di Anna Pizzuti
Il gruppo da Kavaja | Dalla Jugoslavia: Indice |
Subito dopo l'8 settembre del 1943, prima che la costa dalmata fosse occupata dai tedeschi, circa 900 ebrei riuscirono ad attraversare l'Adriatico e a rifugiarsi nella Puglia ormai libera grazie all'avanzata degli alleati.
Il fatto che molti di essi provenissero dai campi istituiti da italiani in varie località di loro competenza impone una breve esposizione su quanto accadde anche nella zona di occupazione italiana il cui comando era affidato alla II Armata.
La zona copriva circa due quinti del territorio appartenente allo "stato indipendente della Croazia". In essa le vicende degli ebrei nativi e profughi furono condizionate dall'alternanza tra il governo civile e dalle autorità militari nell'esercizio dell'autorità civile.
Fino ai primi di settembre del 1941 l'atteggiamento passivo mantenuto dalla II Armata, su ordine di Roma, incoraggiò gli ustascia - che già avevano iniziato la persecuzione degli ebrei nella zona controllata dai tedeschi - a creare campi di concentramento anche nella zona controllata dagli italiani (vedi campo di Pag).
A partire dal settembre del 1941, quando l'esercito italiano assunse di nuovo l'autorità civile, gli ebrei cominciarono a sentirsi più al sicuro.
Al fine di pacificare le zone occupate, infatti, i comandi italiani intervennero in favore delle popolazioni civili, ebrei compresi anche se, con il progredire della guerra e delle difficoltà da essa create, questo atteggiamento "protettivo" cedette ad altri comportamenti.
I profughi si erano concentrati soprattutto lungo la costa (es: Kraljevica), in una parte dell'Erzegovina (es: Mostar) e, infine, a Dubrovnik.
Con il passare del tempo una ulteriore loro affluenza venne vista con sempre maggiore ostilità perchè , oltre ad aggravare la già difficile situazione alimentare, avrebbe, ad avviso del comandante del V Corpo d'Armata , creato problemi alla sicurezza ed al mantenimento dell'ordine pubblico.
In conseguenza di ciò, lo stesso comandante vietò la permanenza nella zona di sua giurisdizione a tutti i rifugiati ebrei e dispose che tutti coloro che avessero infranto questo divieto fossero accompagnati al di là della linea demilitarizzata.
Nel frattempo, però, era intervenuto l'accordo croato-tedesco ed era ormai noto che ad attendere i profughi respinti c'erano i vagoni merci che li avrebbero deportati nei lager nazisti.
A questo punto il destino degli ebrei, sia i "pertinenti" sia i profughi, si giocò su diversi tavoli:
A tirare le fila di tutta la complessa situazione e a trovare la soluzione che, nonostante il "nullaosta" mussoliniano, avrebbe impedito o, quanto meno ritardato il più possibile la consegna degli ebrei ai croati fu il conte Luca Pietromarchi, responsabile del Gab. A.P. (l' ufficio destinato a trattare le relazioni con le zone di influenza italiana): fu lui che, per primo, propose l'espediente di avviare un'operazione burocratica tendente a stabilire la vera identità degli ebrei perché era inteso che ebrei di nazionalità italiana non dovevano assolutamente essere consegnati
Intanto, per dimostrare ai tedeschi che, comunque, gli ebrei venivano rigidamente sorvegliati, si giunse alla decisione di iniziare il loro internamento in località distribuite lungo la zona costiera tra Kraljevica (Porto Re) e Dubrovnik.
Ad essere internati furono tutti i nuclei familiari il cui capofamiglia era considerato di "razza ebraica", coloro che si dichiaravano "pertinenti" e, quindi, di fatto, equiparabili a cittadini italiani, gli ebrei provenienti da stati terzi.
Le operazioni di "identificazione" degli internati terminarono nel febbraio del 1943. In quello stesso mese i tedeschi, tramite Ribbentrop, tornarono a fare pressione su Mussolini per la consegna degli ebrei, pressioni alle quali Mussolini sembrò cedere, concordando anche su quello che sarebbe stato l'itinerario dei treni con i quali gli ebrei sarebbero stati deportati.
I tentativi di diversione messi in atto dagli ambienti militari e diplomatici non bastavano più a tenere a bada i tedeschi, così si fece strada un'altra soluzione.
Fin dal luglio del 1942, nell'isola di Arbe/Rab, situata nella Dalmazia annessa all'Italia - quindi sotto leggi italiane, al riparo da qualsiasi ingerenza croato-tedesca - era stato creato un grande campo per internati civili sloveni e croati e fu in esso che, dal maggio del 1943 cominciarono ad essere radunati tutti gli ebrei presenti come internati nella zona di occupazione italiana.
La liberazione del campo avvenne nei primi giorni dopo l'armistizio dell'8 settembre. A quella data gli ebrei presenti a Rab risultavano essere 3366. La maggior parte di essi si unì alle formazioni partigiane. Una parte, come detto sopra, riuscì a raggiungere l'Italia. Molti, quindi, sopravvissero, mentre 204 tra vecchi, donne e bambini che non avevano voluto lasciare il campo, furono deportati dai tedeschi nella Risiera di San Sabba e da qui ad Auschwitz: tutti, meno cinque donne, vi trovarono la morte.
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