a cura di Anna Pizzuti
Le categorie | Indice | Apolidi e Polacchi |
Scegliere quali tra le storie degli ebrei stranieri presenti in Italia prima o durante la guerra, ma non internati non è stato facile, perché ciascuna presenta aspetti particolari interessanti da riportare alla luce. In questa pagina ne sono presentate solo alcune, divise in base alle diverse situazioni.
Dalla Francia
Heinrich Ehrlich nel 1936 possedeva un laboratorio di gioielleria a Vienna. Nel 1938, quando i tedeschi occuparono l'Austria passò il confine cecoslovacco illegalmente e raggiunse Gablonz. Quando arrivarono i tedeschi si trasferì a Praga dove rimase fino a quando anche la Boemianon fu occupata.
Con un certificato di identità falso, nel 1939 raggiunse Bordighera e, da lì, con una guida, pagata 1000 lire, passò illegalmente il confine con la Francia, a piedi. A Nizza visse con l'aiuto di una organizzazione ebraica fino a quando, allo scoppio della guerra, non venne internato dalle autorità francesi come straniero.
Riuscito a fuggire, tornò a Nizza. Quando gli italiani occuparono questa città, con altre persone fu obbligato a vivere a Castellane, dove rimase fino al 1943, quando raggiunse Saint Martin Vesubie. Dopo l'armistizio temendo le persecuzioni tedesche, con altre persone passò il confine italiano e raggiunse Valdiera . Da lì, con un falso documento di identità francese (conservava ancora il documento con il cognome falso Colbert) giunse fino a Firenze e, da qui, Roma, nell'ottobre del 1943. Dovette, però, rifugiarsi presto in montagna, per sfuggire alle deportazioni.
Quando si rivolge all'IRO la sua condizione è la seguente: non può tornare a Vienna: il suo matrimonio è stato annullato, i figli rifiutano di aiutarlo. In più, teme il perdurare dell'antisemitismo, e, allo stesso tempo, l'influenza dei sovietici e rifiuta il comunismo.
Nella valutazione viene indicato come il tipico eterno rifugiato.
Dopo molte richieste, il 12 dicembre 1949, finalmente viene riconosciuto come idoneo all'assistenza nell'ambito del repatriation found creato con accordo di cinque Stati il 14 giugno 1946 e amministrato dall'IRO.
Wiljem Reiter era nato a Vienna, da padre galiziano emigrato in Austria nel 1919. Nel 1938, dopo l'annessione dell'Austria al Reich i suoi genitori fuggirono in Belgio. Poco dopo li seguì anche lui, insieme al fratello. La madre morì a Bruxelles nel 1940.
Wiljem, nel frattempo, aveva imparato la professione di pellicciaio, ma, in quanto rifugiato, non riusciva a praticarla, così, dopo la morte della madre, seguì il padre e il fratello che avevano deciso di trasferirsi in Francia, prima a Tolosa, successivamente, a Montpellier.
Tra il 1942 e il 1943, sia il padre che il fratello vennero arrestati. Il padre riuscì a liberarsi corrompendo un impiegato francese nell'amministrazione tedesca, il fratello fu deportato.
Si trasferì a Adge-Vercult, dove visse miseramente. Quando i tedeschi temettero l'invasione degli alleati nel sud della Francia, rischiò di essere arrestato, così fuggì nei dintorni di Nizza e, da qui, passò i Italia, arrivando a Cuneo. Combattè con una brigata di partigiani e, dopo la liberazione della zona, potè riunirsi con il padre e, nel 1946, con il fratello che credevano morto. Continuarono a vivere a Cuneo o nei suoi dintorni.
Si rivolge all'Organizzazione per essere aiutato a raggiungere il padre e fratello che sono emigrati in Canada, ma nel 1951 è ancora in Italia, ospitato in un campo IRO.
Dalla Jugoslavia
Dragan Zvijezdic nel 1938 viveva a Zagabria e lavorava come dipendente della Schell-Oil. Nel 1934 era stato esonerato dal servizio militare per un problema di cuore, ma nel 1941, al momento dell'invasione della Jugoslavia, si era presentato - inutilmente - come volontario per combattere i nazisti.
Fu licenziato dalla Schell Oil, quando questa organizzazione passò sotto il controllo tedesco, e fu assunto dalla comunità ebraica come impiegato. Durante questo duro periodo iniziarono le persecuzioni antisemite e molti dei suoi parenti furono internati a Jasenovac e Nova Gradiska e da quel momento scomparvero.
Nell'aprile del 1942 fu arrestato come ostaggio in occasione dell'anniversario della fondazione del nuovo Stato croato. Gli ostaggi erano tutti gli ebrei, membri della RSS (chiamati dagli ustascia "Gli ebrei bianchi") aderenti all'idea jugoslava prebellica. Erano tenuti come ostaggi nel caso in cui dovesse succedere qualcosa durante le celebrazioni. Rimase in prigione per alcuni giorni e poi fu liberato.
Quando la polizia, dopo poco tempo, venne a cercarlo di nuovo non era in casa. Avvisato dai vicini, partì immediatamente. Era già in possesso di un finto "foglio di rimpatrio" per sé e la sorella rilasciato dalle autorità della Dalmazia in cambio di denaro. Così entrambi partirono per Spalato, zona passata all'italia.
Furono arrestati, incarcerati per qualche settimana e poi confinati nell'isola di Brazza (Brac). Nel mese di giugno furono trasferiti nel campo di concentramento gestito dagli italiani sull'isola di Arbe (Rab).
Nel settembre del 1943 nel campo, che si era già liberato, arrivarono i partigiani, ma dichiararono che una seria resistenza sarebbe stata impossibile dato che tutte le isole circostanti erano in mano agli ustascia e ai tedeschi. Dragan, insieme ad altri, rimase nel campo, aspettando l'agognato sbarco angloamericano.
In breve, però, fu costretto a fuggire più lontano a causa del pericolo tedesco e si rifugiò, insieme a molti altri civili, sulle montagne della Lika a poche miglia dall'isola.
Anche se i partigiani (Esercito di Liberazione Nazionale) si assunsero nominalmente la responsabilità di garantire la loro sicurezza, i rifugiati rimasero in diverse occasioni soli e non protetti, cosicchè alcuni di loro finirono nelle mani degli ustascia.
Dopo un lungo e duro viaggio, il gruppo arrivò a Topusko che era sotto occupazione partigiana.
Dragan era membro della commissione ebraica con il compito di prendersi cura del benessere degli ebrei. Il primo ministro inglese, Churchill, che in quel periodo si trovava a Topusko, vide le condizioni pietose dei rifugiati e suggerì di inviare a Bari una commissione per chiedere aiuto.
Dragan, che ne faceva parte, nell'ottobre del 1944 partì con una jeep guidata dallo stesso Churchill fino al campo d'aviazione ausiliario di Glina.
Arrivato a Bari, si mise in contatto con il quartier generale britannico di Bari grazie alle lettere di istruzioni preparate per lui da Churchill e così si riuscì ad inviare rifornimenti ai rifugiati sulle montagne jugoslave.
A Bari ottenne un lavoro come membro della comunità ebraica locale, poi passò a lavorare con l'AJDC di Roma come segretario del dipartimento di approvvigionamento medico.
Quando si rivolge all'IRO, dichiara di non vuoler tornare in Jugoslavia, perché non può vivere sotto un regime in cui i principi democratici non sono rispettati. Come aderente al partito RSS per un lungo periodo è fautore del principio di libertà personale e politica e dell'iniziativa privata. Ha vissuto con i comunisti in montagna, dove solo i membri del partito erano al sicuro, mentre i rifugiati civili non protetti non erano affatto considerati alla pari. Non ha nessuno nel paese e vorrebbe emigrare in Palestina o in Argentina o in Nuova Zelanda. La sua storia viene considerata vera in quanto suscettibile di controllo.
Dragan, però rimane in Italia ed ottiene la cittadinanza il 9 marzo del 1954.
In Italia con la Brigata Anders
Ludwik Tramer viveva in Polonia, a Cracovia. Dopo lo scoppio della guerra, la città venne occupata dai tedeschi e il richiedente fuggì a Lwow, che era nella zona controllata dalla Russia. Vi rimase fino a quando, nel giugno del 1940, non fu deportato in un campo di lavoro in Russia. Fu liberato grazie all'accordo Sikorsky tra il governo polacco in esilio a Londra e l'Unione Sovietica1 e si stabilì nell' Ouzbekestan, nella città di Samarkanda, dove rimase fino al 1942, quando partì con un trasporto di familiari di militari polacchi, per raggiungere il padre che era con il corpo militare polacco a Teheran. Da Theheran si spostò in Palestina, dove egli si arruolò con il corpo polacco del generale Anders con il quale si spostò in Egitto e poi in Italia, fino a Cassino. Finita la guerra e smobilitato, si iscrisse alla facoltà di medicina di Bologna.
Non viene considerato rifugiato, dall'IRO e nel 1951 è ancora in Italia.
Zygmund Woelfling -
Viveva con i suoi genitori a Prsemyls in Polonia. Nell'ottobre del 1939 si trasferì a Lwow, nella zona occupata dai russi e si iscrisse ad una scuola musicale. Nel 1941 venne arruolato in un battaglione del lavoro a seguito dell'Armata Rossa che agiva nella regione di Tananrog, con numerose unità e comandi. A giugno fu trasferito sulla sponda orientale del Mar d'Azov , fino al mese di agosto, quando venne rilasciato con altri polacchi in seguito all'accordo tra il governo polacco in esilio a Londra e l'Unione Sovietica. Si trasferì a Tashken in Usbekistan dove il conservatorio dipendeva da quello di Leningrado e riprese i suoi studi musicali. Nell'aprile del 1942 raggiunse il centro di addestramento dell'armata polacca del generale Anders a Wewskaja. Successivamente il centro fu trasferito in Persia, vicino alla frontiera con l'Irak e poi a Kirkuk. Nel 1943 era a Gaza, in Palestina e nel febbraio del 1944 in Egitto. A marzo, terminata la scuola ufficiali, fu trasferito a Taranto, poi a Cassino. Risalì la costa adriatica, fino a Forlì. Fu smobilitato a giugno e sposò una donna italiana.
Quando si rivolge all'IRO vive a Roma, con la famiglia della moglie, studia economia all'università e fa lavori saltuari. Non vuole tornare in patria, perché è contrario al regime comunista che, tra l'altro, sembrerebbe considerare traditori i militari del corpo polacco del generale Anders. Nel giugno del 1949, però, chiede di essere cancellato da tutti i servizi dell'IRO, perché in possesso di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato e ha iniziato le procedure per la naturalizzazione in Italia dove intende risiedere permanentemente. La domanda viene accettata.
Ludwik Tramer e Zygmund Woelfling non erano i soli ebrei polacchi venuti a combattere in Italia al seguito della Brigata Anders. La presenza e la natura o meno di rifugiati da attribuire a questi militari, soprattutto a quelli che si erano creati una famiglia, sposando una italiana, fu oggetto di diverse discussioni all'interno della Displaced persons Division dell'UNRRA, come dimostra il documento che segue.
Il ritardo di questo memorandum è stato causato dalla considerazione dell'ampia questione politica […] se mogli e figli e altri parenti debbano ricevere la loro idoneità per la cura e il mantenimento da quella che il capofamiglia ha ottenuto da parte dell'UNRRA. A causa delle ampie considerazioni di questa politica, non siamo ancora in grado di dare una risposta definitiva a questa domanda in questo momento hanno avuto luogo discussioni con il Foreign Office e siamo informati che nessuna smobilitazione di qualsiasi unità dell' Anders'Army è contemplata fino a quando queste unità non saranno trasferite in Gran Bretagna. In base a queste eccezioni, i polacchi che desiderano rimanere in Italia perché hanno sposato degli italiani, o perché hanno il permesso di emigrare in altri paesi, sono autorizzati alla smobilitazione locale in Italia. Il numero totale è piccolo, e siamo informati che in nessuno dei due casi sembrerebbe probabile che anche un numero trascurabile di essi sia incline ad emigrare in Austria. Come sapete, la politica stabilita è chiara: gli ex-soldati hanno diritto all'assistenza dell'UNRRA solo se sono stati sfollati a causa della guerra e smobilitati come individui e non come membri di unità sciolte o smobilitate. I disertori dell'esercito del generale Anders sono tecnicamente ancora soldati e quindi ipso facto non eleggibili.
Firmato DV Rabinoff Asting Director, welfars and repatiration division. 2
Nelle città italiane
Speranza Nacson, nata a Corfù, ma vissuta prima a Trieste e poi a Venezia; ospitata nell'ospedale di Venezia fino alla fine dell'occupazione nazi-fascista.
Aurelia Schik, nata a Graz, rifugiata nel 1939 ad Abbazia (allora provincia del Carnaro) ha la possibilità di emigrare negli Stati Uniti dove vive un fratello, che ha pagato per lei anche il passaggio aereo da Roma a Lisbona dove avvenivano gli imbarchi, ma perde l'aereo e resta a Roma, dove rimane nascosta durante l'occupazione, aiutata dalla Delasem.
Edda Fraenkel -
Nata Breslavia, in Germania, il 5 febbraio 1913, da genitori ebrei. Il suo primo lavoro fu quello della governante e poi di commessa in un negozio di tessuti. Il negozio fu chiuso per mancanza di merci e dovette vivere in casa della sorella, dove rimase, disoccupata, fino al 1941. Per salvarsi dalla persecuzione, fuggì in Italia, con documenti falsi e si fermò a Bolzano, dove visse nascosta e disoccupata, mantenendosi con dei lavori saltuari. Quando i tedeschi occuparono l'Italia, temendo di essere arrestata e deportata in un campo di concentramento in Germania, fuggì a Lonato, in provincia di Bergamo, dove visse nascosta presso la famiglia Marchi fino alla liberazione. Venne a sapere che anche la sorella era in salvo in Italia, nel Friuli Venezia Giulia, nel paese di Fanna e la raggiunse. Qui svolse il lavoro di governante presso diverse famiglie. Ha un'altra sorella che vive a Londra. Avrebbe trovato lavoro lì, grazie ad una agenzia che le ha spedito il permesso di emigrazione in Inghilterra presso la sede centrale dell'AJDC a Roma. Chiede aiuto all'IRO per completare la documentazione. Non vuole tornare in Germania.
Margit Klinger: Viveva in Ungheria, a Budapest, sposata con il dirigente di una grande azienda. Quando entrano in vigore leggi antisemite restrittive, il marito venne allontanato dal lavoro e si ammalò di cuore. Insieme riuscirono a raggiungere l'Italia nel 1943, con passaporto regolare e vennero ospitati a Venezia dalla figlia che aveva sposato un italiano molto ricco. All'arrivo dei tedeschi la figlia fuggì in Svizzera, mentre lei e il marito rimasero a Venezia con documenti falsi. Andò in Svizzera dopo la morte del marito, avvenuta nel 1944. Rientrata, vive con la figlia separata dal marito in condizioni disagiate, perché dall'Ungheria non arriva più la pensione del marito. Non vuole tornare in Ungheria, perché non ama il comunismo che considera una dittatura. Nel 1952 risulta trovarsi nella casa di ricovero israelitica.
Anna Loewenstein -
Viveva a Berlino ed era sposata con il Direttore di una importante ditta. Dopo la morte del marito viveva con la sua pensione che le fu tolta nel 1939, poiché era ebrea. Tra il 1936 e il 1939 era stata di frequente a Roma, dove viveva una sua figlia sposata con un italiano. Lasciò definitivamente Berlino nel 1939 e si trasferì in Belgio, dove viveva un'altra figlia e dove aveva anche un nipote, di cui non ha saputo più nulla. Si trasferì a Roma nel 1940, ma non fu internata come gli altri ebrei stranieri, perché nel frattempo, si era convertita alla religione cattolica. Continuò a vivere con la figlia ed il nipote italiano. Tra il mese di dicembre del 1943 e il mese di giugno del 1944 si nascose nel convento Folagnini a Monte Verde mentre Roma era occupata dai tedeschi e, più tardi, nella parrocchia della Trasfigurazione fino all'arrivo degli alleati.
Il genero è un dottore, ma non guadagna molto e ha cinque figli da mantenere.
Si rivolge all'IRO per chiedere assistenza fuori del campo; dice che non lo ha fatto fino a quel momento, perché non conosceva l'organizzazione: è quasi completamente sorda, così molte cose le sono sconosciute a causa della sua infermità. Desidera continuare a vivere con la figlia e con i nipoti.
In base a queste affermazioni, la domanda viene accettata anche se presentata fuori tempo limite (cioè successivamente al mese di dicembre del 1949).
Cecilia Rubelowa -
Era nata a Vienna, ma aveva assunto la nazionalità cecoslovacca del marito, nato in Moravia. Nel 1925 la coppia si era trasferita a Roma, dove il marito era impiegato presso l'istituto bancario Credito Marittimo. Rientrò a Vienna nel 1935, a seguito della morte del marito, per tornare di nuovo a Roma due anni dopo, quando stavano iniziando le persecuzioni. Dopo l'8 settembre riuscì a nascondersi in Vaticano, protetta dal Cardinale Caccia Dominioni, alloggiando nel convento di Maria Bambina, in via degli Uffici. Dopo la liberazione si riunì con la sorella riuscita anch'essa ad arrivare a Roma, mentre l'altra, rimasta a Vienna, era stata deportata.
Chiede all'IRO di poter emigrare negli Stati Uniti dove ha un fratello che la accoglierebbe.
Rimane, tuttavia, il problema della cittadinanza. Mentre era in Austria ma anche mentre viveva a Roma, ha mantenuto quella cecoslovacca, ricevendo anche aiuto dalla legazione romana di questo paese e, per questo motivo, non potrebbe essere rimpatriata in Austria. Riesce ad avere, dalle autorità cecoslovacche, la dichiarazione di essere una ex austriaca, ma questo non basta a restituirle la cittadinanza originaria.
Non è possibile appurare la fine di questa storia.
Sigismund Goldburg -
Internato in campi nazisti da settembre 1936 a settembre 1938. A Dachau da ottobre 1939 a febbraio 1943. Dopo quella data, riuscì a fuggire in Italia, rimanendo nascosto e unendosi ad un gruppo di partigiani dopo l'8 settembre 1943. Nel giugno del 1944 si spostò a Roma, dove lavorò per gli Alleati. La sua storia è confermata da funzionari della Delasem.
Olga Gunzburger nel 1938 si trasferì da Vienna a Trieste dove visse tutto il tempo lavorando nel suo negozio. Visse sempre a Trieste anche durante l'occupazione tedesca ma non ebbe problemi - afferma - forse perché considerata da loro un'italiana. Suo marito, invece, fu deportato dai tedeschi nel 1944 e lei non ne ha avuto più notizie. Quando nel maggio 1945 Trieste fu liberata, rimase a Trieste perché non aveva più nessuno in Austria. Il suo unico figlio vive negli Stati Uniti dal 1940 e lei spera che un giorno potrà raggiungerlo.
Olga non viene ritenuta idonea all'assistenza dell'IRO. La valutazione si basa sul fatto che possiede un passaporto valido, quindi non è considerata una vera rifugiata.
Dal soggiorno a Milano alla salvezza in Svizzera
Elfriede Steiner viveva a Vienna con la madre e, nel 1938 frequentava la scuola secondaria ebraica. Quello stesso anno l'Austria venne annessa alla Germania e Elfriede, insieme alla madre, lasciò la sua città e raggiunse Milano. Qui continuò gli studi ed entrò come apprendista in una pellicceria. Nel 1943, per sfuggire ai bombardamenti, madre e figlia si trasferirono a Capriate, in provincia di Bergamo. Dopo l'8 settembre del 1943, quando l'Italia del nord cadde sotto l'occupazione nazi-fascista, le due donne, fuggendo a piedi, riuscirono a raggiungere la Svizzera, dove rimasero fino alla fine della guerra, passando da un campo profughi all'altro. Tornarono in Italia nel settembre del 1945, senza documenti validi. Furono assistite finanziariamente dall'UNRRA, per poi passare all'IRO. L'11 settembre del 1948 vengono riconosciute idonee per il ricollocamento negli Stati Uniti come avevano chiesto.
August Dittenfeld nel 1939 viveva a Stoccarda dove lavorava come rappresentante di commercio. Lasciò la sua città nel 1937 e si stabilì a Milano con la famiglia, continuando il suo lavoro in questa città. Nell'ottobre del 1941, per sfuggire alle persecuzioni razziali in atto contro gli ebrei stranieri e, quindi, al rischio di essere internato, si trasferì a Comerio, in provincia di Varese, dove visse nascosto fino al mese di marzo del 1945. Il 28 di questo stesso mese tornò a Milano, ma venne arrestato dalla Gestapo. Un amico di famiglia riuscì ad avvisare la moglie che si mise in salvo con i due figli.
Mentre il marito era in carcere a San Vittore, la donna, grazie alle informazioni ricevute da un Comitato Ebraico [non meglio specificato nel racconto] trovò una guida a pagamento che la portò a Bellinzona e, da qui, la guidò nel trasferimento in Svizzera.
La famiglia si ricongiunse in Italia nel settembre del 1945. Assistito inizialmente dall'UNRRA, si rende autonomo economicamente, ma il 21 febbraio del 1951 si rivolge all'IRO per essere assistito nell'emigrazione, che, da alcuni documenti contenuti nel suo fascicolo sembra essere avvenuta.
Difficile ricominciare
Emilio Meyer era nato ad Amburgo. Il suo lavoro era quello di contabile presso case editrici. Nel corso degli anni aveva lavorato in diverse città tedesche ed anche, per un certo periodo, a Venezia, fino a stabilirsi definitivamente a Lipsia. Qui, però, dopo l'ascesa al potere di Hitler rimase disoccupato e non ebbe più garantita la possibilità di trovare un impiego in Germania. Tornò, quindi, in Italia dove le persecuzioni razziali non erano condotte così severamente come in Germania. Per quattro anni visse e lavorò a Milano, ma nel 1942 venne licenziato per mancanza di lavoro. Durante la guerra, temendo la deportazione da parte dei tedeschi, si rifugiò ad Asmonte, un piccolo paese nei dintorni di Milano presso un contadino (Taglietti). Finita la guerra torna in città e fino al 1946 vive con l'aiuto economico ricevuto dall'UNRRA. Quando si rivolge all'IRO per continuare ad essere assistito, viene dichiarato idoneo solo alla protezione legale e politica. Per protesta scrive all'Organizzazione la lettera che segue.
Mi è stato comunicato che io non sono più eligible per il ricollocamento, l'assistenza e il mantenimento, ma sono solo protetto legalmente. […] Io sono nato in Germania vissuto a lipsia […] Dal 1933 fino al 1940 sono vissuto in Italia indisturbato. Nel 1940 tutti gli ebrei stranieri [sono stati] internati. Mi sono nascosto in un paesetto e ho vissuto fino alla fine della guerra. Io ho avuto la fortuna di nascondermi e di sopravvivere Dopo la guerra sono tornato a Milano dove naturalmente, come straniero e come uomo anziano mi è stato impossibile trovare lavoro. Fui aiutato dall'UNRRA, alla fine dell'UNRRA sono stato aiutato dall'AJDC però io ero sempre un profugo. Io non so perché succede tutto questo. Io sono un profugo e dovrei essere aiutato la mia situazione è tristissima e non capisco perché l'IRO dovrebbe fare proprio a me una eccezione del genere. Io sono vecchio e la mia moglie altrettanto e non vivrò a lungo. E questo poco tempo lo voglio vivere da uomo. Che cosa vuole l'IRO da me? Spero che l'IRO riguarderà le mie pratiche e farà del suo meglio per me e mia moglie. Vi prego ancora una volta di constatare e di esaminare tutto ciò.
La protesta sembra aver avuto effetto, non si sa però fino a quando, vista la data nella quale questo scambio si svolge. E', infatti, il 4 dicembre del 1951 quando l'viene l'uomo viene dichiarato idoneo al "ricollocamento locale" e a tutti gli altri servizi dell'IRO.
Lazzaro Belleli dal 1928 viveva a Trieste con i genitori originari di Corfù. Nel settembre del 1943 suo padre fu arrestato dai tedeschi per ragioni razziali e deportato in Germania. Lui, con la madre continuò a stare a Trieste, ma nel marzo del 1944 anche lui fu preso dai tedeschi e portato a Peschiera, sul lago di Garda, per lavoro obbligatorio. Nel campo di lavoro lavorava sulle strade e sulla linea ferroviaria. A Novembre del 1944 fu trasferito a Salisburgo, sempre per lavoro obbligatorio nella località di Goling, dove lavorava nelle gallerie e nei rifugi antiaerei. Nell'aprile del 1945 fuggì e tornò a Trieste.
A giugno 1945 si trasferì a Bari nella hachshara "Drorz" e, nel settembre del 1945, a Roma nella hachshara Lanegew.
Quando questa chiuse, rimase a Roma, lavorando come carpentiere, ma a luglio del 1947 è rimasto disoccupato, perché non è in possesso del libretto di lavoro per l'Italia.
Dai documenti sembra che Lazzaro pensi di tornare a vivere in Grecia, perciò viene inviato nel transit camp di Cinecittà, ma poi sembra ripensarci e chiede di essere trasferito al campo di Barletta, e di ricevere assistenza e mantenimento per sé e per la propria famiglia. Il passaggio da una valutazione all'altra sembra evidenziare dei problemi e sono probabilmente questi a fare in modo che, alla fine, la famiglia Belleli risulti essersi allontanata, rinunciando, così, ad ogni forma di assistenza.
Otto Gefter era nato a Vienna da genitori di origine ebraica, Nel 1931 si trasferì a Stoccarda per lavoro. Vi rimase fino al 1933 quando, a seguito delle leggi razziali hitleriane fu costretto a trasferirsi a Trieste con la famiglia. Dopo qualche tempo andò a risiedere, sempre con la famiglia, ad Abbazia a causa dei problemi di salute del figlio, continuando a lavorare a Trieste. Dopo il 1938, a seguito delle leggi razziali, gli fu proibito di rimanere ad Abbazia e quindi, con la famiglia, tornò a Trieste. Dopo l'armistizio Trieste fu occupata dai tedeschi e Otto fuggì, sempre con la famiglia, a Bergamo, dove visse nascosto in un villaggio vicino alla città. Dopo la liberazione si trasferì a Milano, ma rimase senza lavoro. Dopo un breve periodo trascorso di nuovo a Trieste, tornò a Milano, dove riuscì a sistemarsi.
Non vuole tornare in Austria la nazione dove i suoi parenti sono stati tutti sterminati. Rifiuta anche di tornare ad Abbazia che ora è occupata dagli jugoslavi, per le sue convinzioni anticomuniste che gli impediscono di vivere sotto una dittatura che opprime le libertà civili. Vuole emigrare negli Stati Uniti. Viene registrato come DRA (Discrezional resettlment assistance), ma poi sembra aver rinunciato ad ogni forma di assistenza.
Adalberto Emodi era di origine ebraica e si considerava cittadino ungherese come quando era venuto a Fiume nel 1925. 3 Aveva sposato nel 1934 una nativa di Fiume e dal matrimonio era nato un bambino.
Nel 1938 risiedeva a Fiume, ma lavorava a Viareggio durante la stagione estiva.
Nel 1940 dovette lasciare questo lavoro e rimase disoccupato a Fiume. Tra il 1943 e il 1944, quando la città fu occupata dai tedeschi fuggì da Fiume per rifugiarsi a Valstagna, una frazione del comune di Valbrenta, in provincia di Vicenza, dove rimase fino alla fine della guerra.
Da qui si spostò a Treviso dove rimase fino al marzo del 1949.
Ha lavorato occasionalmente durante l'estate a Riccione, nell'hotel Touring, ma dal 1950 vive a Treviso.
Rifiuta il rimpatrio sia in Ungheria che in Jugoslavia, perché ambedue sotto il regime comunista.
L'obiezione viene ritenuta valida e l'esito dichiarato è quello della consulenza legale e politica
Richiede a novembre 1950 la D.R.A. (Discrezional resettlment assistance) per il Canada, perché in Italia non trova lavoro in quanto considerato straniero (non cittadino italiano) .
Il fascicolo si chiude con una scheda dal titolo Risultato dell'elaborazione del resettlment in USA che contiene i nomi e le date di nascita dei componenti la famiglia, ma non chiarisce se l'emigrazione sia effettivamente avvenuta.
La questione della cittadinanza
Erna Gizelt nata Wolfsohn era nata in Ungheria, ma dal 1908 viveva a Fiume con il marito e i figli. La famiglia aveva ricevuto la cittadinanza italiana nel 1930. Nel 1944 fuggirono da Fiume e vennero ospitati da una famiglia di amici a Mantova fino al 1945. Dopo la guerra, morto il marito, Erna si trasferì a Merano. Mancano particolari sulla sua storia, ma il fascicolo contiene documenti attinenti al problema della cittadinanza che, come a lei, complicò di molto la posizione degli ebrei fiumani allontanatisi dalla loro città durante la guerra. La sua scheda CM1 ci dice che non è stata mai intervistata dalla commissione dell'IRO, ma è presente sulla scheda del genero, che si è registrato nel 1948 ed è stato dichiarato idoneo all'assistenza.
Erna ha seguito il genero e la figlia che erano in Italia. Non è adatta a nessun lavoro, perché molto anziana. Non vuole tornare a Fiume, ora jugoslava, perché non ha nessuno in quella città.
Il fascicolo contiene una scheda che rinvia ad una sua domanda di emigrazione (Division field service, HQ Bagnoli) dalla quale, tuttavia, risulta "Inattiva". Il 15 gennaio 1957 il Ministero degli affari esteri si rivolge a quello degli Interni in merito alla situazione della donna, di sua figlia e della nipote la cui posizione di profughe politiche non è ben chiara e chiede che vengano sottoposte all'interrogatorio prescritto dalla convenzione di Ginevra in questi casi.
Il 17 aprile 1957 il Ministero dell'Interno risponde con la trascrizione delle informazioni raccolte dalla Questura di Bolzano, visto che Erna si trovava a Merano. La figlia e la nipote di Erna sono risultate essere cittadine austriache, in possesso di passaporto valido fino al 1951. Erna, invece, è tornata italiana4 e trattandosi di persona già appartenuta al territorio ceduto alla Jugoslavia, optò per la conservazione della cittadinanza italiana. Le posizioni delle donne escludono che possano essere ritenute profughe politiche, a norma della convenzione di Ginevra.
Ugo Schacherl era nato a Fiume nel 1928, il padre - nato a Vienna, emigrato a Fiume al tempo dell'impero austro-ungarico - era rimasto cittadino cecoslovacco. La madre, invece, era italiana e italiana è stata la sua educazione. Nel 1941 era a Padova per studiare medicina. Nel 1942 fu chiamato dal fratello a Firenze, come istitutore in un collegio italiano, pur continuando gli studi di medicina e munito di passaporto cecoslovacco, Un mese dopo l'occupazione tedesca fu arrestato dai fascisti, ma riuscì a fuggire dalla finestra di un lavatoio. Visse nascosto in casa di un amico (Coccioli) ad Arcetri. Fuggì dopo poche settimane e arrivò in treno a Fiume, mentre i genitori erano nascosti a Mestre. Si unì ai partigiani della Brigata Istriana che combattevano nella zona di Klana, aiutando vari medici.
Finita la guerra, si trasferì a Zagabria e studiò lingue, per diventare traduttore. Sposò una italiana che viveva a Trieste. Vissero a Zagabria per un anno, ma poi la donna tornò nella sua città, seguita poco dopo dal marito al quale, però, venne concesso solo un passaporto da apolide e che, per questo, stava incontrando molti problemi per praticare la sua professione.
L'uomo dichiara di non voler tornare a Trieste, ma di voler emigrare in Australia. E' ritenuto eligible per l'emigrazione. Nel 1951 risulta emigrato nella Columbia Britannica (provincia canadese).
Enrico Stern era nato a Milano il 22 marzo 1911 ma da genitori di cittadinanza tedesca. Visse con loro a Colonia fino al 1921, anno del ritorno della famiglia a Milano dove il padre avviò una fiorente attività commerciale nella quale lui stesso iniziò a lavorare. Vissero indisturbati fino al 1939, quando furono colpiti dalle leggi antiebraiche e la ditta del padre fu affidata ad un commissario governativo. Durante l'occupazione tedesca riuscirono a mettersi in salvo in Svizzera. Al rientro Enrico aprì una nuova ditta.
L'uomo chiede assistenza all'IRO per ottenere la cittadinanza italiana. Egli, infatti, aveva conservato la cittadinanza tedesca fino al 25 novembre 1941 quando, in base alla legge tedesca, dovette restituire il suo passaporto al consolato germanico. Da quel momento non ha più fatto nulla per riottenerla, nemmeno anni dopo la fine della guerra. Dal governo italiano è, quindi, considerato un apolide.
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