La Provincia del Carnaro - accolti e respinti Indice Le zone croate occupate - le cifre

LE ZONE CROATE OCCUPATE

La prima "Ordinanza legale per la difesa del popolo e dello stato" datata 17 aprile 1941 prescriveva, infatti, la pena di morte per l'"infrangimento dell'onore e degli interessi vitali del popolo croato e la sopravvivenza dello Stato Indipendente di Croazia". Essa fu presto seguita dalla "Ordinanza legale delle razze" e dalla "Ordinanza legale per la protezione del sangue ariano e l'onore del popolo croato" datata 30 aprile 1941.
Con esse veniva prevista la creazione di "uno spazio vitale croato pulito" che consentisse l'esistenza della "pura nazione croata", e la cui condizione preliminare era la distruzione biologica (istrebljenje) di serbi, ebrei, e rom che erano stati proclamati i "peggiori nemici del popolo croato" per i quali "non vi era posto in Croazia". Bisognava, quindi, compiere "la pulizia interna", ovvero distruggere quelli che "macchiavano il corpo della pura nazione croata" con il loro "comportamento non croato".
Questi i fondamenti della concezione razziale del governo croato e del movimento ustascia che lo sosteneva.
Fin dal momento dell'emanazione delle due ordinanze gli ustascia cominciarono a condurre, anche nei territori presidiati dagli italiani, una deliberata campagna di massacri, deportazioni e conversioni forzate alla religione cattolica per gli ortodossi, con lo scopo di eliminare del tutto gli indesiderabili.
Il destino degli ebrei presenti in Jugoslavia che erano fuggiti verso le zone presidiate dall'esercito italiano, si giocò in gran parte in dipendenza dell'alternarsi dell'attribuzione dell'autorità civile ai militari o al governo croato e alle bande degli ustascia che infierivano contro i serbi presenti nel nuovo stato, colpevoli di praticare la religione ortodossa, contro gli zingari e contro gli ebrei ., La Seconda Armata, ricevette da Roma l'ordine di non intervenire, pur in presenza di vere e proprie carneficine e ciò avvenne anche quando gli ustascia iniziarono a creare veri e propri campi di sterminio, come quello istituito sull'isola di Pag, sulla quale erano presenti anche presidi militari italiani.
Questo atteggiamento passivo durò diversi mesi, fino a quando, cioè, la situazione generale non diventò del tutto ingovernabile al punto da far temere alle gerarchie militari che i disordini potessero estendersi anche alla Dalmazia.
L'intervento fu determinato anche dal timore di apparire, agli occhi dell'alleato tedesco, incapaci di mantenere l'ordine su un territorio del quale si era, per molti aspetti, responsabili.
Fu così che il comandante della II Armata generale Ambrosio, a seguito di un accordo con i croati, ottenne che fossero i comandi militari italiani presenti sul territorio ad assumere i poteri civili sperando così di riuscire a ristabilire l'ordine e di far cessare gli eccidi1.
Con un bando emanato il 7 settembre del 1941, inoltre, l'esercito italiano si impegnò a garantire l'incolumità, la libertà ed la conservazione dei propri beni alle popolazioni che avessero collaborato con l'occupante.
Il provvedimento aboliva, almeno formalmente, discriminazioni religiose o razziali e ai serbi (ma non gli agli ebrei) fu consentito di recuperare tutti i diritti. I risultati di questa azione non furono quelli attesi: gli ustascia continuarono ad imperversare, soprattutto nella terza zona.
Eccidi e violenze furono accompagnati dall'istituzione di veri e proprio lager. I primi erano stati quelli di Gospic, Jadovno, Pag che erano rimasti in funzione fino al 19 agosto 1941, quando erano stati chiusi a seguito delle ribellioni di massa dei serbi contro la politica di sterminio messa in atto dagli ustascia
Successivamente il centro dello sterminio si spostò nel lager di Jasenovac che fu attivo dal 21 agosto 1941 al 22 aprile 1945. Finora sono state identificate complessivamente 84.300 vittime perite in questo campo, tra cui 12.534 ebrei2.
Uno degli effetti del bando, probabilmente non previsto, fu l'afflusso nelle zone presidiate dagli italiani di migliaia di ebrei in fuga dallo sterminio, disposti anche a sfidare i rischi che in esse si correvano a causa delle alterne vicende già illustrate.
Le zone occupate dai militari italiani erano le prime che i profughi incontravano durante la fuga. Alcuni vi si stabilivano appoggiandosi alle piccole comunità locali e sperando nella protezione dei militari italiani, mentre altri vi si fermavano dopo essere stati respinti o allontanati alle varie frontiere.

Come si può vedere nella cartina3, i loro centri di raccolta erano, principalmente. la costa nord della Croazia, con i paesi di Crikvenica(Cirquenizza), Kraljevica (Porto Re), Novi Vinodol e Senj, mentre in Erzegovina, le mete principali erano Mostar e, sulla costa meridionale, Dubrovnik (Ragusa) 4.
In generale la presenza dei profughi veniva tollerata dalle autorità militari, nonostante il fatto che anche ad esse fosse arrivato il perentorio ordine di respingimento inviato dal governo il 26 maggio del 1941.
Con il passare del tempo, però, una ulteriore loro affluenza fu vista con sempre maggiore ostilità perchè , oltre ad aggravare la già difficile situazione alimentare, avrebbe, ad avviso, in particolare, del generale Coturri comandante del V Corpo d'Armata , creato problemi alla sicurezza ed al mantenimento dell'ordine pubblico. In conseguenza di ciò, lo stesso comandante vietò la permanenza nella zona di sua giurisdizione a tutti i rifugiati ebrei e dispose che tutti coloro che avessero infranto questo divieto fossero accompagnati nella zona demilitarizzata.
Il generale Dalmazzo, invece, comandante del VI corpo d'Armata nella zona di Monstar e Dubrovnik comunicò a Supersloda che nel territorio di sua giurisdizione gli 895 ebrei che complessivamente vi risiedevano in quel momento non stavano creando alcun problema5.
Si arrivò in questo modo al giugno del 1942, quando il generale Roatta, che aveva sostituito il generale Ambrosio raggiunse un nuovo accordo con le autorità croate. L'esercito italiano avrebbe ritirato molti dei propri presidi e sarebbe rimasto stanziato essenzialmente nella parte della Seconda zona più vicina alle province dalmate con la funzione esclusiva di proteggerle. L'esercito avrebbe mantenuto il potere di amministrare la giustizia e il controllo dell'ordine pubblico, ma alcuni poteri civili nella seconda zona sarebbero stati assunti di nuovo dai croati. La terza zona, invece, rimase completamente nelle mani degli ustascia.
Come se queste decisioni non bastassero ad aumentare i rischi per i profughi, in quello stesso periodo veniva stipulato l'accordo tra crosti e tedeschi per il trasferimento in Polonia di tutti gli ebrei jugoslavi, compresi quelli presenti nella Seconda Zona.
Conseguentemente al governo italiano venne chiesto di consegnare quegli ebrei, perchè fossero deportati.
In quell'occasione il destino, sia dei "pertinenti" che dei profughi, si giocò su diversi tavoli:
A tirare le fila di tutta la complessa situazione e a individuare la soluzione che, nonostante il "nullaosta" mussoliniano, avrebbe potuto impedire o, quanto meno ritardare il più possibile la consegna degli ebrei ai croati fu Luca Pietromarchi, responsabile dell' ufficio competente a trattare le relazioni con le zone di influenza italiana (Gab.A.P.) istituito presso il Ministero degli Affari Esteri.
Fu Pietromarchi, ma, di fatto, il ministero da cui il suo ufficio dipendeva che, per primo, propose di avviare un'operazione burocratica finalizzata a stabilire la vera identità degli ebrei perché era inteso che ebrei di nazionalità italiana non dovevano assolutamente essere consegnati.
Questa soluzione avrebbe, tra l'altro, consentito di prendere tempo rispetto alla decisione che i tedeschi imponevano, considerate le enormi difficoltà che i profughi avrebbero incontrato a procurarsi i documenti necessari a certificare l'eventuale loro "pertinenza" a territori italiani6.
Il generale Roatta, che si era sempre opposto all'istituzione di campi per ebrei sotto la giurisdizione dell'esercito finì per acconsentire alla soluzione individuata dall'ufficio di Pietromarchi e dal Ministero degli Esteri, in considerazione del fatto che cedere alle richieste dei tedeschi "avrebbe costituito un grave colpo al prestigio dell'esercito italiano nella Croazia e in tutti i Balcani." 7
Intanto, per dimostrare ai tedeschi che, durante l'espletamento di queste pratiche, tutti gli ebrei che si trovavano nella Seconda Zona sarebbero stati rigidamente sorvegliati, fu disposto il loro internamento in località presidiate dai militari italiani, distribuite lungo la zona costiera tra Kraljevica (Porto Re) a nord e Dubrovnik (Ragusa) a sud8.
Le operazioni di "identificazione" degli internati terminarono nel febbraio del 1943. A quella data, però, i tentativi di diversione messi in atto dagli ambienti militari e diplomatici non bastavano più a tenere a bada i tedeschi i quali, tramite Ribbentrop, tornarono a fare pressione per la consegna degli ebrei, pressioni alle quali Mussolini sembrò cedere, concordando anche su quello che sarebbe stato l'itinerario dei treni con i quali gli ebrei sarebbero stati deportati.
A quel punto cominciò a maturare nello stesso mese febbraio del 1943 un'altra soluzione, cioè quella di concentrare tutti gli ebrei in un unico luogo.
In un primo momento si pensò di raccoglierli nel campo di Kralijevika (Porto Re), ma considerato che questa località, come tutte le altre della seconda zona si trovava in Croazia, si preferì optare per il loro trasferimento oltre la frontiera, in territorio italiano.
Il nome dell'isola di Rab (Arbe), situata nella zona annessa alla provincia del Carnaro, compare per la prima volta in una nota inviata dal Ministero degli Affari Esteri al Comando della II Armata9.
Alla metà del mese di aprile, erano già in corso i preparativi per i trasferimenti, che furono conclusi entro il mese successivo.


1 L'accordo con i croati prevedeva la permanenza in loco di truppe croate, ma le metteva alle dipendenze italiane; anche il Commissario generale amministrativo designato dal governo croato era agli ordini del comando italiano. Le locali autorità civili croate furono lasciate ai loro posti, ma solo per l'ordinaria amministrazione e la collaborazione nel mantenimento dell'ordine pubblico. Cfr. Alberto Bucherelli Italia e Stato Indipendente Croato(1941-1943) Edizioni Nuova Cultura 2012 p. 168
2 Sui lager croati cfr a) Jasenovac memorial site b) Jasenovac, la Auschwitz dei Balcani (a cura dell'associazione Most za Beograd di Bari) c) Milovan Pisarri Diana Budisavljevi?. La donna che salvò migliaia di bambini serbi dai campi di sterminio ustascia d) http://www.ushmm.org/wlc/fr/article.php?ModuleId=197
3 Cartina tratta dal sito http://www.liceopetrarcats.it/sperimentazione/ilmondodeibalcani/cartografia/europa400.htm e modificata dall'autrice del saggio
4 Klaus Voigt riferisce che - secondo le autorità militari - lungo la costa croata alla fine del 1941 erano arrivati 433 profughi, a Mostar se ne registravano 180 e a Dubrovnik 200. Queste presenze erano destinate ad aumentare notevolmente nei mesi successivi, fino a raggiungere la cifra di circa 1700 Cfr. Cfr. Klaus Voigt, Il rifugio precario cit. p.274 e n. 112.
5 Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo cit, p.452.
6 La disposizione n. 11288/AC emanata il 17 ottobre 1942 dal Comando Superiore delle Forze Armate "Slovenia - Dalmazia", stabiliva che i Comandi dei presidi delle località in cui risiedevano gli ebrei dovevano convocarli ed invitarli a produrre "documenti e prove atti a determinare la loro pertinenza o meno ai territori annessi", secondo i criteri individuati dal Ministero degli Affari Esteri. Sarebbero risultate pertinenti all'Italia gli ebrei registrati all'anagrafe in comuni appartenenti ai territori annessi, che vi fossero nati o che vi abitassero da più di 15 anni. Potevano risultare "pertinenti" anche coloro che vi avessero parenti o che vi possedessero immobili. Pertinenti ai territori annessi potevano risultare anche gli ebrei che avessero acquisito particolari benemerenze nei confronti dell'Italia. Cfr, per il documento da cui sono tratte queste informazioni, come tutte le altre relative a scambi tra Supersloda e i Comandi d'Armata presenti nella Seconda Zona, salvo diverse indicazioni: ACS, NA, Records of the italian Armed Forces, Microcopy T 821, roll 406.
7 Questa posizione di Roatta viene resa nota per la prima volta in un promemoria inviato dal generale Magli al Ministero degli affari esteri, il 10 ottobre 1942 , dopo che, il 5 settembre il Comando Supremo aveva reso ufficialmente nota la richiesta avanzata dai tedeschi e dai croati di consegnare gli ebrei . Il promemoria inizia proprio con il riferimento al proclama del generale Ambrosio , con il quale "le forze armate garantivano la libertà ed i beni di quanti fossero tornati pacifici nelle loro case." Con riferimento all'istituzione dei campi, il promemoria così prosegue: "Sembra poi che la riconsegna debba essere preceduta dall'internamento di tutti i rifugiati in campi di concentramento. Simile disposizione urterebbe, innanzitutto, contro una difficoltà materiale, perché nelle nostre zone non esistono, attualmente campi di concentramento, la costituzione dei quali comporta una preparazione che manca completamente ed una organizzazione che non può essere improvvisata. Comunque […] sarebbe estremamente deprecabile che [l'internamento] dovesse essere la premessa per il passaggio dei rifugiati dal campo di concentramento ai croati e poi ai tedeschi. Se riconsegna deve essere effettuata, l'Autorità militare è opportuno rimanga ad essa estranea. In un solo caso l'internamento nei campi di concentramento potrebbe essere considerato come accettabile e cioè se esso dovesse […] per compiere l'accertamento di pertinenza"
8 In realtà solo Kralijevika (Porto Re) era un vero e proprio campo. Negli altri luoghi prescelti - Quarto, Kupari, Mljti,Gravosa,Isola di Mezzo e Isola di Lesina - era stato impossibile istituire veri e prorpi campi, per mancanza di attrezzature e di personale per la sorveglianza. i profughi risiedevano in alberghi o case in affitto e ciò preoccupava molto le autorità militari, come è possibile leggere nelle comunicazioni intercorse tra il Comando superiore e i vari Corpi d'Armata
9 Il passaggio cui ci si riferisce è il seguente: "[…] si fa presente come sia da escludere l'introduzione di elementi israeliti nel territorio nazionale. Ove ciò non fosse assolutamente possibile, si potrà fare eccezione per il loro concentramento in un'isola, ad esempio nell'isola di Arbe."

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