a cura di Anna Pizzuti
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La Legge di guerra predisposta dal regime fascista fin dal luglio del 1938 stabiliva che, con un Decreto Reale, si sarebbe potuto ordinare di porre "a visto preventivo dell'autorità politica" ogni pubblicazione eseguita con la stampa o con qualsiasi altro mezzo di riproduzione e che la corrispondenza postale e le comunicazioni telegrafiche, telefoniche, radioelettriche e di qualsiasi altra specie potevano essere sottoposte a censura o a controllo.i
I decreti previsti da questa prima disposizione furono approvati nell'ottobre del 1939 e divennero operativi il 15 giugno del 1940 al momento dell'entrata in guerra dell'Italia.ii
A partire da quella data, "su proposta del DUCE del Fascismo, Capo del Governo" tutti i mezzi di comunicazione vennero sottoposti a censura e furono predisposte le strutture che avrebbero avuto il compito di controllarli.
Per la revisione della corrispondenza civile e di quella militare in partenza, furono istituite le commissioni provinciali di censura postale (successivamente denominate commissioni provinciali di guerra), che dovevano essere composte esclusivamente da ufficiali dei vari corpi dell'esercito.
Di esse erano responsabili i Prefetti, in stretta comunicazione con il Ministero degli interni e con il Governo centrale.
Il lavoro affidato a queste commissioni si rivelò ben presto immane, dal momento che erano migliaia le lettere che ogni giorno ciascuna di esse avrebbe dovuto esaminare e nelle quali avrebbe dovuto verificare e segnalare la presenza di:
"1) manifestazioni di allarmismo e disfattismo; 2) echi di agitazioni interne o atti di sabotaggio; 3) malcontento; 4) notizie deprimenti; 5) tranquillità; 6) fiducia; 7) rassegnazione o fervore patriottico; 8) comprensione doveri; 9) preoccupazione per disagi economici; 10) attaccamento al lavoro abbandonato; 11) sentimento affettivo; 12) sentimento religioso; 13) comportamento clero; 14) eventuale propaganda sobillatoria e sovversiva."iii
Il controllo della corrispondenza civile si estendeva anche a quella scritta in lingua straniera, in questo caso sia in partenza che in arrivo. Ad esso veniva sottoposta la corrispondenza di tutti gli stranieri presenti in Italia, in primo luogo quella dei "sudditi nemici atti alle armi" peri quali la legge di guerra prevedeva l'internamentoiv e, per analogia, anche quella degli ebrei stranieri, internati nei campi per loro predisposti o nelle località militarmente non importanti.v
Il decreto contenente le disposizioni relative al trattamento della loro corrispondenza prevedeva che essi non potevano né spedire né ricevere corrispondenza postale o telegrafica o pacchi di qualsiasi genere, se non per il tramite delle autorità preposte alla loro sorveglianza.vi
Le procedure da seguire furono precisate in una successiva circolare.
"Per gli internati civili qualora questi si trovino in campo di concentramento, la censura della loro corrispondenza attiene alla disciplina interna dei campi e compete, quindi, sia in arrivo che in partenza, ai direttori degli stessi campi di concentramento. Qualora, invece, gli internati civili non si trovino nei campi di concentramento, la censura è effettuata dalla Commissione provinciale competente per territorio e le Eccellenze i Prefetti devono prendere accordi con i direttori provinciali delle Poste e Telegrafi perché la corrispondenza in arrivo a tali internati ed altresì quella da essi spedita, sia rimessa alla commissione provinciale di censura competente, prima, rispettivamente, della consegna o dell'inoltro."
La traduzione di questa corrispondenza era affidata alle stesse Commissioni provinciali, affiancate da traduttori, anche civili, ma ben presto ci si rese conto che non era possibile che ciascuna commissione avesse a disposizione quelli necessari per tutte le lingue.
Fu quindi disposto che la corrispondenza in lingua straniera che non si riusciva a tradurre sul posto, venisse inviata alla commissione provinciale più vicina dove tale possibilità esisteva. Se nessuna commissione di censura fosse risultata provvista del traduttore occorrente, la corrispondenza doveva essere inviata direttamente al Ministero. Non era possibile, per la traduzione, rivolgersi al Comando Supremo SIM, al Ministero della Guerra, al Ministero della cultura popolare, agli uffici centrali in genere.
La crescente diversificazione linguistica verificatasi soprattutto tra gli ebrei stranieri che continuarono ad essere internati in Italia fino al 1942 generò difficoltà sempre maggiori.
La soluzione individuata fu quella di consentire solo la corrispondenza scritta in lingua francese, inglese e tedesca.
Particolare fu, poi, il trattamento riservato agli "allogeni" di lingua slovena, internati a seguito dell'invasione della Jugoslavia: ad essi era fatto obbligo di scrivere in lingua italiana.
Sempre al fine di facilitare le operazioni di traduzione e di censura fu disposto che gli internati stranieri potessero corrispondere soltanto con i congiunti, intendendo con questo termine i connazionali che si trovavano nei campi di concentramento o in località d'internamento. Lo scopo di questa disposizione era quello di limitare la quantità di corrispondenza da esaminare, ma ,di fatto, essa colpiva l'esigenza più sentita, cioè quella di rimanere in contatto con i familiari rimasti nei paesi di provenienza.vii
Era previsto, infine, che gli internati potessero spedire solo una cartolina ed una lettera alla settimana e che, per le lettere, lo scritto non dovesse superare le 12 righe per ciascuno dei due fogli concessi. Nella prima pagina della lettera e nella parte posteriore della busta doveva essere apposta in alto l'indicazione "Posta internati civili di guerra".
Anche l'apposizione del francobollo andava controllata: essa doveva avvenire in presenza dell'autorità preposta alla vigilanza sull'invio della corrispondenza.
Gli stessi pacchi eventualmente inviati agli internati dovevano essere sottoposti alla censura. Oltre a controllarne il contenuto, i direttori dei campi e le autorità locali preposte alla sorveglianza degli internati dovevano compilare elenchi dei pacchi ed inviarli alla Questura competente sul territorio.
L'unica agevolazione concessa riguardava i rapporti con le rappresentanze consolari obbligatori per gli internati che avessero in corso pratiche per l'emigrazione: con esse si poteva corrispondere senza limitazioni di tempo o di spazio.viii
La documentazione di accompagnamento e la stessa corrispondenza presentate in questo saggio consentiranno di verificare quanto i regolamenti , con il procedere della guerra, finissero per essere disattesi.
Attraverso la prima, si vedrà che il percorso fatto seguire alle lettere per la traduzione e la revisione, non sempre corrisponde a quanto disposto dalle circolari.
Gran parte della stessa corrispondenza che qui si presenta dimostra, inoltre che il numero delle lingue che era consentito usare fu ampliato. Molte delle copie che sono state rinvenute, infatti, portano in altro la scritta: "tradotto dall'ungherese".
In generale, infine, la lunghezza delle stesse lettere prova come fosse concesso disattendere anche alla prescrizione che limitava a 24 le righe che esse dovevano contenere.
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