a cura di Anna Pizzuti
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Tutti gli storici che hanno ricostruito le vicende legate all'afflusso degli ebrei presenti in Jugoslavia al momento dell'occupazione hanno evidenziato le disparità che caratterizzarono l'azione delle autorità nei confronti sia degli ebrei residenti nei territori annessi all'Italia, sia, soprattutto, nei confronti dei profughi che in esse cercavano rifugio.
Alle frontiere della Provincia del Carnaro i profughi venivano in larga parte respinti, nella città di Susak, annessa a questa provincia, venivano effettuate vere e proprie retate; nella provincia di Lubiana la loro presenza veniva in linea di massima tollerata e preludeva quasi sempre al trasferimento in Italia; nelle province dalmate venivano adottati alternativamente entrambi i comportamenti, a seconda delle contingenze o di altre variabili legate allo stato di guerra. i
L'obiettivo comune delle autorità italiane, sia locali che centrali, ad ogni modo, era quello di liberarsi dei profughi, sia che si trattasse di costringerli a tornare nei luoghi dai quali erano fuggiti o che si riuscisse a trasferirli in Italia, nei campi o nelle località di internamento.
Molte le variabili alla base di comportamenti tra loro spesso contrastanti: le singole posizioni delle autorità che le amministravano o degli stessi comandanti dei Corpi d'Armata che le presidiavano, i rapporti con gli alleati croati e tedeschi, l'evoluzione al loro interno della lotta partigiana e le modalità delle controffensive adottate .
Di qualsiasi natura esse fossero, tuttavia, ciascuna delle decisioni prese nelle nuove province - così venivano chiamate le zone annesse - nei confronti degli ebrei profughi veniva avallata dalle autorità centrali.
Accanto all'analisi dei diversi comportamenti andrebbe però verificato se e fino a che punto, nelle tre zone venisse tenuto conto delle leggi antiebraiche italiane e quale fosse - se esisteva - il rapporto tra la loro eventuale applicazione e l'atteggiamento tenuto nei confronti, in particolare dei profughi. ii
A questo proposito va segnalato che Klaus Voigt fa derivare le differenze segnalate sopra proprio dal trasferimento nelle nuove province delle stesse modalità con le quali fu attuata in Italia la persecuzione degli ebrei stranieri.
Scrive, infatti, lo storico tedesco: "In effetti le norme della legislazione sugli stranieri lasciavano mano libera ai prefetti che potevano procedere all'allontanamento a proprio piacimento, senza prima interpellare il Ministero dell'Interno. […] Tra i motivi dell'allontanamento vi erano l'ingresso illegale, il soggiorno senza la prescritta dichiarazione all'ufficio stranieri, la mancanza di mezzi." iii
Appare tuttavia importante sottolineare che, oltre al potere decisionale sugli allontanamenti, la normativa fascista aveva conferito ai prefetti un ruolo centrale nell'attuazione delle procedure relative all'internamento previsto per gli ebrei stranieri a partire dal 15 giugno del 1940.
Spettava ai prefetti, infatti, censirne la presenza, formulare le proposte, esprimere il proprio parere su ciascuna delle richieste presentate dagli internati, fare da tramite tra essi e l'autorità superiore.
I prefetti italiani applicavano in maniera nel complesso uniforme questa normativa, adeguandosi in linea di massima alle disposizioni, operando nello stesso tempo con una certa autonomia che consentiva loro di rendendole più o meno gravose.
Anche i territori della ex Jugoslavia annessi all'Italia erano, come detto, delle province, e i compiti di chi le amministrava erano quasi tutti riconducibili a quelli dei prefetti del Regno, fatta salva la presenza di figure superiori come quella di governatore delle tre province dalmate attribuita a Bastianini.
Ugualmente riconducibile a quella della madrepatria era anche la struttura burocratica che si era consolidata intorno alle procedure relative all'internamento.
Tuttavia le zone annesse costituivano un contesto decisamente diverso da quello in cui operavano i prefetti sul territorio italiano, soprattutto perchè esse erano zone di guerra, nelle quali l'autorità civile e quella militare erano spesso sovrapposte soprattutto riguardo al controllo del territorio e quindi e questo va detto per quanto riguardava i profughi - anche relativamente al modo in cui vi si poteva accedere e alla possibilità di permanervi o, al contrario, di essere respinti.
Per quanto riguarda il numero dei profughi respinti, una valutazione abbastanza vicina alla realtà è possibile solo per quelli che lo furono dalla Provincia del Carnaro, grazie alle comunicazioni - spesso accompagnate anche dagli elenchi - che da quella prefettura venivano inviate regolarmente a Roma. iv
Per le altre zone le cifre risultano più difficili da definire soprattutto per quanto riguarda la Dalmazia che pure era una delle zone più facilmente raggiungibile grazie anche alla sua posizione.
Le informazioni sulle politiche praticate nelle zone annesse possono essere ricavate dalla pur scarsa corrispondenza tra le varie autorità relativa alla presenza ebraica, ma anche dalla lettura dei documenti contenuti nei fascicoli personali dei profughi che riuscirono ad essere internati. Utili a questo fine sono, in particolare, le motivazioni che accompagnavano le proposte per il loro trasferimento in Italia.
Si legga, ad esempio, un passaggio contenuto in uno dei telegrammi con i quali si annunciavano le partenze da Spalato della nave Cattaro che avrebbe trasportato con diverse traversate più di mille profughi radunati in Dalmazia a Fiume da dove sarebbero stati poi internati in varie province dell'italia settentrionale:
"Stamane est partito […] piroscafo Cattaro con a bordo 200 ebrei internandi non pericolosi […] da qui allontanati per ridurre il numero appartenenti detta razza qui residenti." v
Da Spalato furono operati anche degli internamenti di singoli profughi. La motivazione con la quale si concludeva la proposta che li riguardava era la seguente: "ciò premesso, intesi i competenti organi militari […] si esprime parere favorevole al trasferimento del predetto internato. vi
Questa, invece, la motivazione con la quale venivano internati in Italia i profughi riusciti ad entrare nella provincia del Carnaro: "Tenuto conto che si tratta di persona di razza ebraica , di cui si ignorano, per giunta, i trascorsi politici e morali e in vista della particolare delicatezza della situazione di questa zona, il suo ulteriore soggiorno in questa provincia appare indesiderabile. vii
Per quanto riguarda gli internamenti dalla provincia di Lubiana, la motivazione era: "Non ritenendosi opportuna l'ulteriore loro permanenza a Lubiana per la particolare situazione di questa provincia, se ne propone l'internamento in una località del Regno", seguita, in generale, dall'informazione sulla possibilità o meno di potersi mantenere a proprie spese.
Come si può vedere, ciascuna delle motivazioni contiene almeno un elemento che la differenzia dalle altre. Quella firmata da Paolo Zerbino, prefetto di Spalato condiziona l'internamento in Italia della persona interessata al parere dell'autorità militare, rivelando il coinvolgimento istituzionale di quest'ultima nel controllo dei profughi ebrei e nella gestione del loro eventuale trasferimento in Italia anche di quelli "non pericolosi" come li definisce il prefetto di Spalato. viii
Nella motivazione dell'internamento firmata dal prefetto di Fiume, al contrario della precedente, l'eventuale pericolosità politica e morale (sic) della persona interessata viene collegata alla sua ebraicità, una sovrapposizione che si ritroverà nei documenti conservati in tutti i fascicoli personali dei profughi
ebrei internati dalla provincia di Lubiana.
Va infatti sottolineato che, la nota firmata da Emilio Grazioli in risposta alle richieste di informazioni sulle disponibilità economiche dichiarate dai profughi alla partenza da Lubiana, si concludeva con la seguente formula:
"I soprascritti […] sono stati internati in seguito a provvedimento di carattere generale tenuto conto della razza cui appartengono e perché profughi dai territori ex regno di Jugoslavia."
Quale che fosse la motivazione con la quale veniva richiesto l'internamento degli ebrei profughi, va ricordato che il provvedimento rappresentava per loro la salvezza dai veri e propri campi della morte gestiti dagli ustascia oppure dalle deportazioni nei lager della Polonia a seguito delle quali nelle zone della Jugoslavia occupate dai tedeschi furono sterminate intere Comunità ebraiche.
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