a cura di Anna Pizzuti
Tra maggio e luglio 1941 | Indice | I profughi presenti a Lubiana nel 1941 |
La frammentarietà della corrispondenza tra le varie autorità non consente di ricostruire momento per momento la genesi e lo sviluppo delle disposizioni relative agli ebrei profughi che si susseguirono a partire dal mese di maggio 1941.
Basta, tuttavia, analizzare con attenzione i documenti contenuti nei fascicoli personali - contestualizzandoli ed operando i necessari riscontri - di quelli di loro che riuscirono a farsi trasferire in Italia, per colmare diverse lacune documentarie.
Un contributo che si giudica significativo a questo proposito è quello che si scopre nel fascicolo personale di Leo Kudis. La vicenda che lo coinvolse si presenta, infatti, come una eccezionale testimonianza di quanto accadeva nell' arco di tempo che va dalle settimane immediatamente successive all'occupazione fino al periodo in cui vennero emanati i provvedimenti riportati sopra. In più essa consente anche di verificare come essi furono attuati.
Leo Kudis era un industriale tessile, proprietario di una fabbrica a Celje, non lontano da Lubiana, città nella quale risiedeva da trenta anni.
Il 27 aprile 1941 venne fermato e trattenuto dalla polizia ustascia nella stazione di Cirquenizza mentre si dirigeva verso il confine della Provincia del Carnaro insieme ad altre quattro persone anch'esse residenti tra Celje e Lubiana. Al momento del fermo quattro dei componenti del gruppo esibirono un lasciapassare per Susak rilasciato dal commissariato ustascia di Ragusa e autorizzato anche dal Comando dei carabinieri del XVII Corpo d'Armata. Il lasciapassare in possesso di Leo Kudis, invece, doveva consentirgli di rientrare a Lubiana, dove aveva lasciato la moglie e i suoi due figli.
Tutti i fermati dichiararono che si trovavano in quella zona di ritorno da un viaggio di affari il cui itinerario era stato modificato dallo stato di guerra. Le notevoli somme di denaro, i gioielli e i preziosi che i componenti del gruppo portavano con sé avevano invece creato nella polizia ustascia il sospetto che i cinque stessero tentando di passare illegalmente il nuovo confine, tra l'altro non ancora ben definito.
Il fermo apparve, all'inizio, una normale operazione di polizia, considerati anche i recenti avvenimenti bellici, ma cambiò di significato quando, il 2 maggio successivo, il commissario ustascia di Cirquenizza venne informato dai suoi superiori che i componenti del gruppo "sembra siano ebrei".
A quel punto il commissario, accertato che non vi fossero altri impedimenti, restituì i beni sequestrati e autorizzò la partenza del gruppo "in quanto superiormente è stato precisato che simili casi sono esclusivamente di competenza dell'autorità italiana". Per questo motivo, inviò una relazione dell'accaduto al Comando dei carabinieri del V Corpo d'Armata, il quale la trasmise all'autorità più vicina cioè il prefetto di Fiume. Questi, a sua volta chiese disposizioni al Comando della II Armata, riferendo anche che i membri del gruppo erano ebrei - informazione peraltro non presente nella relazione compilata dal commissario di Cirquenizza - ricevendone l'ordine di trasferire i fermati nella questura della città.
Il trasferimento a Fiume avvenne il 14 maggio successivo.
Portati in questura, Leo Kudis e i suoi amici vennero interrogati minuziosamente e i loro beni di nuovo sequestrati. Da quel momento in poi su tutti i documenti che li riguardavano cominciarono ad essere indicati come ebrei o "profughi ebrei". Il giorno dopo vennero tutti autorizzati a risiedere nella provincia, precisamente ad Abbazia.
Dopo qualche giorno arrivarono nella stessa località anche 23 dei trenta profughi dalla Dalmazia segnalati da Fiume al ministero il 27 maggio: vi restarono tutti fino a quando da Roma non furono inviate le disposizioni che li riguardavano. In base ad esse, l'11 giugno successivo vennero tutti muniti di foglio di via per Vicenza "avendo essi prescelto questa residenza". i
Queste disposizioni si rinvengono trascritte nella comunicazione di servizio con la quale il commissario di polizia di Abbazia avvisò la questura di Vicenza della concessione del foglio di via ai singoli membri del gruppo:
"Il Ministero dell'Interno ha disposto che gli ebrei ex jugoslavi rifugiatisi recentemente in questa provincia, [La provincia del Carnaro]se muniti dei necessari mezzi di sussistenza, possono continuare a dimorare nel Regno, però in località non militarmente importanti. In dipendenza di quanto sopra si prega di provvedere perché gli ebrei di che trattasi, recentemente stabilitisi in codesto Comune, siano muniti al più presto di foglio di via obbligatorio per uno dei luoghi appresso elencati […]"ii
La partenza del gruppo di Kudis e di quello del 27 maggio proveniente dalla Dalmazia subì diversi rinvii, per motivi definiti "privati". Uno di questi, riguardante il primo gruppo fu determinato dalla necessità di attendere la risposta dell'Alto Commissario di Lubiana alla richiesta del prefetto Testa di autorizzare il rientro degli esuli in quella città.
Vale la pena di riportare il contenuto della nota - datata 19 giugno 1941 - con la quale questa possibilità venne negata, perché essa sembrerebbe contenere l'anticipazione di quella che sarà la politica che Grazioli praticherà per tutti gli anni successivi nei confronti degli ebrei a vario titolo presenti nella provincia.
"Non ravvisasi opportunità - scrive infatti l'Alto Commissario- invio qui predetto et altri ebrei […] perché indesiderabili questo territorio di recente occupazione et tuttora militarmente importante. Medesimi potrebbero essere inviati campo concentramento aut internati proprie spese."
Raggiunta Vicenza, Kudis e tutti gli altri verranno muniti di permesso di soggiorno essendo tutti provvisti di mezzi di sussistenza e lasciati liberi nella città, per quanto sottoposti a "riservata vigilanza". Tuttavia, "ai fini di una più proficua vigilanza", il 5 gennaio 1942 il locale prefetto reputerà opportuno sottoporre tutti a misura dell'internamento in un comune della provincia, anche per "usare lo stesso trattamento disposto per gli altri profughi dalla Jugoslavia nelle medesime condizioni." iii
L'accoglienza riservata a profughi particolarmente abbienti o favorevolmente noti" continuò anche nei mesi successivi, sia nella Provincia del Carnaro che in quella di Lubiana. iv
Altre disposizioni ministeriali, di poco successive a quelle già citate, dimostrano che per tutti gli altri profughi veniva confermato l'ordine di respingimento.
Di una in particolare è possibile seguire, attraverso le diverse fasi della sua compilazione, anche l'evoluzione restrittiva che ebbe la sua formulazione nel passaggio dalle istanze ministeriali a quelle locali.
Il 30 giugno del 1941 il Ministero degli Affari Esteri inviò la seguente nota riservata ed urgente a quello dell'Interno.
"Per aderire ad analoga richiesta della Regia Legazione a Belgrado, si prega compiacersi far conoscere con cortese sollecitudine quali direttive debbono essere seguite nei riguardi degli ebrei residenti in Serbia, nativi della Slovenia, del Montenegro, delle province Dalmate o dei paesi occupati dalle nostre truppe, i quali desiderino rimpatriare nei luoghi d'origine.
La risposta del ministero venne inviata, il 14 luglio , per conoscenza, anche alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza ed a quella della Demografia e Razza.
In essa si affermava che nel corso dello studio di eventuali provvedimenti destinati a regolare l'acquisto della cittadinanza italiana da parte della popolazione dei territori annessi era stata esaminata la posizione degli ebrei in essi presenti in relazione alle norme vigenti in Italia per la difesa della razza.
Il risultato di questo controllo aveva convinto il ministero a ritenere che non fosse il caso "di consentire il trasferimento nei territori annessi degli ebrei che, originari dei territori stessi risiedono in Serbia o altrove." Per quanto riguardava gli ebrei originari del Montenegro e dei territori occupati sarebbe spettato al Ministero degli Affari Esteri stabilire se un criterio analogo dovesse essere adottato d'intesa con il Comando Supremo e con l'Alto Commissario del Montenegro.
La disposizione si riferiva, evidentemente non a tutti gli ebrei jugoslavi, ma solo a quelli che si trovavano in una condizione specifica: a quelli, cioè che, nati nelle zone annesse dall'Italia, ma poi andati a vivere, ad esempio, in Serbia, avrebbero potuto rivendicare il diritto di rientrare nei luoghi in cui erano vissuti prima di spostarsi, con la prospettiva di acquisire la cittadinanza italiana.
La disposizione mirava a stroncare sul nascere questa vera e propria illusione, riconducendo il divieto di trasferimento nei territori annessi ed in quelli occupati, anche se non in modo esplicito, alle normative in vigore in Italia contro l'ingresso di ebrei stranieri.
Ricevuta la nota stilata in risposta al quesito posto dal Ministero degli Affari Esteri, la Direzione generale di Pubblica Sicurezza la trasferì l'11 settembre successivo all'Alto Commissario per la provincia di Lubiana, alle prefetture del Regno ed al Questore di Roma, con questa aggiunta voluta - se l'appunto posto sulla minuta è correttamente interpretato - direttamente dal Capo della polizia:
"Se ne informa per opportuna conoscenza, con preghiera di impartire disposizioni agli organi di polizia confinaria perché sia vietato il trasferimento di tali elementi indesiderabili nelle province dei territori recentemente annesse all'Italia o occupati dalle nostre truppe. Identica raccomandazione si fa alle altre Prefetture di confine, essendo stato riferito che ebrei attualmente dimoranti in Croazia cercherebbero di entrare clandestinamente nel Regno." v
Il riferimento specifico alla Serbia, rimanda al primo ordine di respingimento emanato il 28 maggio, e lascia presupporre una possibile scelta politica proprio in dipendenza del fatto che quella parte della ex Jugoslavia era occupata dai tedeschi.
Va notato, infine che tra i destinatari della copia nota compare per la prima volta su un documento riguardante gli ebrei profughi - almeno allo stato delle ricerche - anche l'Alto Commissario della Provincia di Lubiana.
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