La spartizione della Jugoslavia
Terminata in breve tempo la cosiddetta "guerra d'aprile", cioè l'invasione della Jugoslavia da parte delle truppe dell'Asse, iniziò la spartizione del territorio del paese sconfitto.
I tedeschi riuscirono ad impadronirsi - occupandole direttamente - delle zone più industrializzate, lasciando all'Italia il compito di definire direttamente con il neonato stato croato l'estensione delle zone che essa aspirava ad annettersi in nome della loro pretesa "italianità" storica e di quelle sulle quali, sempre l'Italia, intendeva mantenere almeno il controllo militare per evitare che l'ingerenza tedesca risultasse prevalente nella quasi totalità della penisola balcanica1.
La cartina2 illustra il risultato di questi accordi.
Le zone annesse direttamente al regno d'Italia furono la Slovenia meridionale, comprendente la provincia di Lubiana e due regioni geograficamente croate, cioè la zona di Susak contigua alla provincia del Carnaro (creata nel 1924 dopo la ratifica dell'annessione di Fiume all'Italia) e le cosiddette Province Dalmate (Zara, Spalato, Cattaro).
Queste zone furono definite in base ad un compromesso che privilegiava, almeno ufficialmente, la posizione strategica rispetto alla continuità territoriale, ma, di fatto, furono quelle che si riuscì a strappare alla Croazia i cui governanti, tra l'altro, non accettarono mai del tutto questa soluzione
Lo Stato indipendente di Croazia inglobava anche la Bosnia Erzegovina con, in particolare, la città di Sarajevo .
L'organizzazione amministrativa dei territori annessi
Nella
Provincia di Lubiana fu istituito un Alto commissariato, affidato a Giuseppe Grazioli, che ebbe il potere di nominare le nuove autorità locali, di controllarne i provvedimenti e di emanare, al contempo, ordinanze proprie in tutte le materie riguardanti l'edilizia, gli approvvigionamenti, le finanze locali ecc.
L'amministrazione dei singoli municipi venne affidata a dei podestà assistiti da notabili di provata fede italiana. L'Alto Commissario disponeva anche di reparti di polizia carabinieri, finanzieri e della milizia confinaria.
Le tre
Province Dalmate furono affidate a tre prefetti che facevano capo al Governatorato generale retto da Giuseppe Bastianini che ebbe poteri illimitati dei quali rispondeva direttamente e solo a Mussolini. Nell'ottobre del 1941 furono estesi al governatorato lo statuto e le leggi fondamentali del Regno e vi furono trasferite tutte le istituzioni statali. Obiettivo del fascismo era la snazionalizzazione dei residenti slavi attraverso la penetrazione delle strutture amministrative fasciste nella società e grazie all'opera delle organizzazioni locali del partito fascista
Susak, Castua, Cabar, parte di Delnice e le isole di Arbe e Veglia furono annesse alla provincia del Carnaro e inserite nelle sue strutture amministrative, in primo luogo la Prefettura di Fiume. Dell'ordine pubblico erano responsabili la Questura fiumana dalla quale il commissariato di Pubblica Sicurezza di Susak dipendeva e altre forze dell'ordine, come i Regi Carabinieri Mobilitati al seguito della II armata il cui comando aveva sede proprio a Susak.
Sul territorio croato
Secondo i progetti del regime fascista il nuovo stato croato sarebbe dovuto nascere come zona di stretta influenza italiana, considerato il sostegno fornito da Mussolini all'ascesa al potere di Ante Palevic e degli ustascia.
L'avere, però, sottratto per annettersele zone che i croati consideravano parte integrante del proprio territorio, creò forti sentimenti irredentisti nei confronti degli italiani ed il rapporto tra i due governi fu estremamente instabile.
Nessuna delle soluzioni individuate dagli italiani - compresi il progetto di far diventare re della Croazia il duca Aimone di Savoia e il fatto che lo stato croato si fosse data un'organizzazione ispirata al modello fascista - riuscì a migliorare la situazione e a stabilizzare l'influenza italiana.
In più, da punto di vista economico, la Croazia si comportò fin dall'inizio come un protettorato dei tedeschi i quali, peraltro, si erano prontamente assicurati il controllo delle regioni più produttive.
Di fronte all'incapacità di mantenere l'ordine da parte degli ustascia, nonostante la violenza criminale con cui questi ultimi infierivano sulle popolazioni civili, italiani e tedeschi decisero di passare all'occupazione militare del territorio croato, dividendolo in due parti.
La parte di Stato croato occupata dall'Italia fu divisa nelle tre zone indicate nella cartina
3 che segue sulle quali le truppe italiane avrebbero esercitato un controllo che diminuiva gradualmente dalla costa verso l'interno.
La prima zona, quella costiera, era la Dalmazia annessa di cui si è già parlato; la seconda zona era quella immediatamente retrostante ,occupata dalle truppe italiane, che avrebbero avuto la facoltà di condurvi operazioni militari, mentre i poteri civili sarebbero stati affidati alle autorità croate; e infine la terza zona che arrivava fino alla linea di demarcazione con l'occupazione tedesca, era posta sotto il controllo civile e militare croato.
Davide Rodogno definisce quindi, giustamente lo stato croato un "alleato occupato"
4.
Per evitare di inimicarsi i croati le truppe italiane che stazionavano sul territorio croato avevano ricevuto l'ordine dallo Stato Maggiore dell'Esercito e dal Ministero degli Affari Esteri di non intervenire , nemmeno di fronte ai crimini più efferati da questi commessi nei confronti dei serbi, dei rom e degli ebrei, considerati in blocco una minaccia per la "purezza nazionale" croata . E quando l'intervento si rese indispensabile alla fine dell'estate del 1941, il loro scopo fu essenzialmente quello di evitare che i disordini e le feroci lotte che avvenivano nelle zone occupate potessero estendersi anche alla Dalmazia.
Nelle due zone occupate - la seconda e la terza - i poteri civili furono assunti dal generale Ambrosio che tentò una azione pacificatrice basata sull'equidistanza, volta a recuperare quanto possibile i diritti dei serbi (ma non degli ebrei) che però non ottenne alcun risultato: gli ustascia, nella terza zona, continuarono ad imperversare, nonostante le limitazioni poste alla loro presenza, mentre i serbi non si sentivano affatto protetti e gli ebrei cercavano la salvezza solo nella fuga.
Si arrivò in questo modo al maggio del 1942, quando il generale Roatta, divenuto nel frattempo comandante di Supersloda raggiunse un accordo con i croati. L'esercito italiano si sarebbe ritirato dalla terza zona e stanziato essenzialmente nella parte della II zona più vicina alle "province dalmate" in pratica con la funzione esclusiva di proteggerle. Alcuni poteri nella seconda zona sarebbero stati assunti dai croati, mentre l'esercito avrebbe mantenuto il potere di amministrare la giustizia e il controllo dell'ordine pubblico. Il resto del territorio fu abbandonato nelle mani degli ustascia.
1 Le altre regioni balcaniche occupate dall'Italia furono il Montenegro il cui territorio fu diviso in tre parti: la zona di Cattaro, divenuta una delle tre province Dalmate, uno Stato montenegrino ufficialmente indipendente, ma di fatto controllato dall'Italia e l'Albania, già appartenente alla corona italiana, resa "Grande Albania" tramite una parte di territorio montenegrino che le venne aggiunto. Su queste regioni cfr: Laura Brazzo, Michele Sarfatti (a cura di) Gli ebrei in Albania sotto il fascismo - Una storia da ricostruire, ed. Giuntina 2010.
2 Cartina tratta da
http://www.giuseppemarchese.it/articoli/art_154/art154.html
3 Cartina tratta da
http://www.istrevi.it/newsletter/nl59-60.php
4 Davide Rodogno,
Il nuovo ordine mediterraneo cit. p. 232