La spartizione della Jugoslavia Croazia: Indice Le cifre: La provincia di Lubiana

Gli ebrei in fuga


Klaus Voigt riferisce che gli ebrei, compresi anche i 5000 profughi provenenti dagli stati europei, che si trovarono sotto il dominio degli Ustascia nell'aprile maggio del 1941 erano 38.000. Le comunità più numerose erano quelle di Zagabria che contava 12000 iscritti e di Sarajevo, che ne contava 8000.
Le cifre rinvenibili in un rapporto inviato all'Unione delle Comunità Ebraiche alla fine del 1941 sono diverse, forse perché non viene considerato il numero dei profughi .
Nel rapporto si dice, infatti, che in Croazia, prima della guerra, risiedevano 29.000 ebrei e che, alla data in cui il rapporto viene scritto, il loro numero era ridotto a 18.000, di cui 12.000 ancora in stato di libertà e circa 6000 internati nei lager croati. A questi andavano aggiunti i 2000 di cui si riferisce il 13 gennaio 1941 in una comunicazione interna alla Delasem, i quali da Sarajevo erano stati internati nel campo di Krusika, nonché i 2000 internati nel campo di Djakovo1.
Sono da aggiungere a questo triste elenco, le 791 vittime degli ustascia nel campo per ebrei istituito nell'isola di Pag, i cui cadaveri furono rinvenuti dalle truppe italiane al momento della chiusura dei campi sull'isola e della partenza degli ustascia. Truppe italiane che sull'isola già stazionavano, ma che dai campi si erano tenute lontane2.
Si ritiene importante tener presente queste drammatiche cifre, per verificarne la congruenza con quelle relative al numero degli ebrei ex jugoslavi o profughi da stati europei che riuscivano a mettersi sotto la protezione degli italiani.
Prima, però, si ritiene necessario chiarire i limiti imposti dalle autorità fasciste alla condizione di profugo o, meglio ancora, di rifugiato che agli ebrei in fuga veniva generalmente attribuita anche nei documenti ufficiali.
Questa definizione scaturiva, in effetti, dalla suddivisione e dall'appropriazione di larghe zone del territorio jugoslavo operate dagli italiani, zone che erano diventate, di fatto, territorio del regno d'Italia.
Accadeva quindi che, cercando di oltrepassare la frontiera della provincia del Carnaro così come era stata modificata dall'annessione o di quelle che dividevano la Provincia di Lubiana e il Governatorato dalmata dal Nuovo Stato Indipendente croato, i fuggiaschi venissero a trovarsi in uno stato estero.
E' interessante notare, però, che solo in uno dei promemoria che venivano inviati alla Delasem ed all'Unione delle Comunità Ebraiche che ufficialmente la rappresentava nella ex Jugoslavia, visto il rifiuto delle autorità di avere rapporti diretti con la Delegazione, si faceva cenno al fatto che i profughi fossero "rifugiati politici[…]sotto la protezione delle autorità italiane [che] anche in base alle leggi internazionali non dovrebbero essere respinti alla frontiera, tanto più in questo caso in cui, tornando in Croazia, essi sarebbero deportati"3.
E invece, ben lungi dal tener presenti le leggi internazionali, nel trattamento degli ebrei profughi le autorità fasciste erano condizionate sia dal fatto che si trattava di ebrei, contro i quali il regime fascista e quello croato avevano promulgato leggi persecutorie, sia dall'assimilazione dei profughi al movimento partigiano cosa che li faceva considerare come veri e propri oppositori politici.
Ciò faceva quindi in modo che i profughi si trovassero in una condizione giuridica molto complessa, che contribuiva a rendere ancora più precaria la loro condizione, già resa difficilissima sia dalle leggi razziali che li avevano privati dei loro beni, sia dallo stato di guerra che sottoponeva a rigido controllo gli spostamenti per i quali erano necessari lasciapassare la cui richiesta li avrebbe traditi.

Le vie di fuga degli ebrei verso le zone controllate dagli italiani4

E' quindi dall'insieme di tutti questi elementi che derivava il potere delle autorità italiane di respingere i fuggiaschi alla frontiera o di allontanarli qualora fossero stati scoperti dopo l'ingresso clandestino. Rispetto ai respingimenti ed agli allontanamenti va fatta ancora una precisazione. I primi erano prescritti dal Ministero dell'Interno che obbligava le forze dell'ordine, in particolar modo la polizia di frontiera, ad eseguirli; gli allontanamenti, invece, erano decisi autonomamente dai prefetti i quali avevano sicuramente buon gioco nell'eseguirli anche grazie alle norme restrittive sugli ingressi, all'obbligo di recarsi nelle questure per rendere la dichiarazione di soggiorno o a quello di dichiararsi in possesso di mezzi propri per il sostentamento.
In realtà respingimenti ed allontanamenti erano previsti fin dal 1938 anche per gli ebrei stranieri presenti in Italia ma, nonostante la durezza delle disposizioni ufficiali non ne furono eseguiti in numero rilevante . Invece le due opzioni erano quelle maggiormente volute da Roma e dai prefetti, in particolare da quelli di Fiume e della Dalmazia, anche se si era perfettamente a conoscenza del fatto che, per i profughi, corrispondevano ad una condanna a morte.
Tutti quelli che erano riusciti a superare le frontiere raccontavano, infatti, le terribili violenze subite e quanti dei loro parenti fossero stati presi dagli ustascia senza che se ne avessero più notizie e le autorità, che questi racconti riferivano a Roma, li consideravano veritieri.
Per qualcuno dei profughi, tuttavia, la permanenza era ammessa ma in base ad una valutazione che doveva avvenire, secondo quanto prescritto da Roma, valutando caso per caso il che dava alle autorità locali un forte potere discrezionale.
L'aspirazione comprensibile dei profughi era, ad ogni modo, quella di essere internati in un qualsiasi campo o località dell'Italia, ed era la soluzione che la Delasem proponeva in ciascuna delle zone "critiche" ma ad essa si opponevano in primo luogo il governo centrale e, secondariamente quelli delle zone annesse, che sembravano preferire la più economica soluzione dei respingimenti, salvo eccezioni di cui non sono state ancora ben ricostruite le motivazioni.
Sappiamo tuttavia che nelle zone annesse vennero estese, insieme all'organizzazione amministrativa fascista, anche le leggi razziali, e, quindi, paradossalmente, con esse sarebbe dovuta essere introdotta la norma che, a partire dal 15 giugno del 1940, prevedeva l'internamento per gli ebrei stranieri, mentre gli ebrei residenti - o "pertinenti" come allora si diceva - non ne dovevano essere colpiti, anche se erano considerati comunque sospetti.
Gli internamenti dalle zone annesse verso l'Italia cui si accennava sopra furono eseguiti, almeno per i gruppi più numerosi, tutti entro la seconda metà del 1941 ed ebbero percorsi molto più problematici e complessi di quelli attuati dalle autorità fasciste nel territorio metropolitano. In più il numero degli internati era solo minimo rispetto alla quantità dei profughi che vi aspiravano.
A partire dal 1942, invece, comincia a farsi strada l'idea di organizzare campi di internamento direttamente nel territorio jugoslavo.


1 I documenti citati sono stati reperiti in copia in ACS, PS, A16, "Stranieri e ebrei stranieri", b. 10,"Fiume", f. Comunicazioni varie. Dei lager croati si parlerà più specificamente in un successivo paragrafo del saggio
2 Su quanto avvenne a Pago Cfr. Susan Zuccotti, Il Vaticano e l'Olocausto in Italia, ed. Bruno Mondadori, p.133
3 ACS, PS, A16, "Stranieri e ebrei stranieri", b. 10,"Fiume", f. Comunicazioni varie; promemoria inviato da Susak
4 Cartina tratta dal sito http://www.liceopetrarcats.it/sperimentazione/ilmondodeibalcani/cartografia/europa400.htm e modificata dall'autrice del saggio

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